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Questo articolo è stato pubblicato il 05 dicembre 2010 alle ore 14:08.
«La tv è evanescente, quando finisce finisce». In una conversazione di due ore Fabio Fazio, con i suoi due autori, Pietro Galeotti (da compagno di scuola a compagno di successi) e Marco Posani, parla della "sua" tv, cita due volte "Carletto" Marx, mai Berlusconi direttamente (a domanda risponde: «Avrei voluto che fosse venuto a leggere l'elenco dei valori in cui crede, ma da uomo di tv ha capito che, dal suo punto di vista, la trasmissione lo escludeva»), una sola volta il direttore generale Rai, Mauro Masi: «Gli ho parlato otto minuti». Che tv guarda? «Molto satellite, sono pazzo di Glee e della protagonista. Tutti i cartoni, con mio figlio l'accordo c'è sempre su Tom e Jerry».
Lavorerebbe a Mediaset? «Sono per il servizio pubblico». Piace Maria De Filippi come conduttrice? «Sì». Il futuro di Fazio? «Un programma comico». E il successo di Vieni via con me come si spiega? «Con il sentire: fare tv significa sentire ciò che ti sta attorno e dare una forma speciale, televisiva, al contenuto. C'è un senso diffuso, una domanda: l'Italia è un paese dove si può stare?». Per queste ragioni «non è vero che Roberto Saviano non sia televisivo, anzi, è la tv. Racconta».
Ci sono gli elenchi usati come forme di protesta nelle piazze e sul web, la ragazza che scrive una mail perché deve fare una tesi, difficile sfuggire al peso politico: «Se proprio si vuole, il messaggio è: se ognuno di noi fa bene il suo mestiere iniziano a cambiare le cose, il problema è che quando fai bene il tuo mestiere spesso non ti è riconosciuto perché il beneficio non si vede». Esempio? «Gabriele Salvatores mi ha raccontato una storia... ma sarà lui?».
Fazio telefona a Salvatores, che non conferma né smentisce. «Beh, se un ingegnere aeronautico prima dell'11 settembre fosse riuscito a convincere le compagnie aeree a mettere una paratia di acciaio tra cabina del pilota e posto dei passeggeri, nessuno gli avrebbe riconosciuto il merito perché non ci sarebbe stato quell'attentato».
Il termine rivoluzione Fazio non lo userebbe mai: «Siamo partiti da idee semplici: macerie, ricostruzione con la parola, parola dunque liturgia, liturgia quindi elenco», ovviamente Italia. «La prima scenografia era una cattedrale, poi abbiamo scelto il teatro greco, il luogo sacro della parola». Chi è il sacerdote? «Diciamo, io celebrante, Saviano concelebrante, con quel volto caravaggesco. Roberto incarna la storia che racconta». E poi l'elenco «come forma perfetta della narrazione, scarna, senza aggettivi, contemporaneamente soggettivo, c'è la persona che lo legge, e oggettivo, è una raccolta di fatti o cose». A proposito, chi è «l'amico» – dicono sia «molto noto» – che ha scritto l'elenco delle cose di cui tutti noi siamo fatti? «Segreto».