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Cultura-Domenica Libri

Gli illuministi vanno in rete

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Questo articolo è stato pubblicato il 15 dicembre 2010 alle ore 06:40.

Quando la cartina del l'Europa del diciottesimo secolo si illumina di traiettorie gialle e rosse restano pochi dubbi: Voltaire, che nella sua vita scrisse circa 18mila lettere, passò due anni in Inghilterra ma solo l'1 per cento della sua corrispondenza fu in inglese; usò quasi sempre il francese per dialogare soprattutto con connazionali. Anche Jean Jacques Rousseau rimase a Londra un anno ma in quei mesi la sua rete di relazioni rimase ancorata a Parigi. Due secoli di studi avevano tramandato una certezza da manuale: i padri dell'Illuminismo francese furono affascinati dal clima culturale d'Oltremanica. Il database rivela invece la povertà di scambi epistolari, principale mezzo di trasmissione delle idee dell'epoca, e costringe a chiedersi: come è possibile trarre ispirazione senza usare la lingua e comunicare con chi ti influenza?
Visti dai laboratori di Stanford nel ventunesimo secolo, quei pensatori francesi sembrano molto meno cosmopoliti di quanto i libri di storia suggeriscono, sicuramente meno del filosofo e giurista inglese Jeremy Bentham, il cui nome inserito nella casella sender rivela un network di conoscenze davvero radicato più al l'estero che in patria.
«Alla scoperta di un nuovo Illuminismo» potrebbe essere il titolo dell'ennesimo volume sul movimento-culla della modernità; è invece più adatto come sottotitolo di «Republic of letters», progetto della Università di Stanford che ha riletto il passato analizzando le lettere inviate e ricevute da filosofi, scrittori, poeti dal 1650 al 1824. «È quasi impossibile avere un quadro completo di come le idee circolarono nel passato – spiega Dan Edelstein, professore di francese e italiano a Stanford e capo del progetto –. La digitalizzazione della corrispondenza dell'epoca è stato il primo passo cruciale: abbiamo lavorato con l'Electronic Enlightenment Project di Oxford che ha a disposizione un importante archivio informatico del periodo». La repubblica delle lettere elettronica riguarda anche l'Italia del 700 e del 2010: «La mia collega Paula Findlen – continua Edelstein – sta studiando le lettere dello scrittore veneziano Francesco Algarotti e mappando la corrispondenza dello scienziato Antonio Vallisneri; assieme a Marta Cavazza dell'Università di Bologna lavora a un database che raccoglie le lettere della biologa bolognese Laura Bassi. Abbiamo inoltre una partnership con Density Design, laboratorio di ricerca del Politecnico di Milano».

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Tags Correlati: Antonio Vallisneri | Dan Edelstein | Drew University | Electronic | Europa | Jean Jacques Rousseau | Jeremy Bentham | Kevin Kelly | Laura Bassi | Marta Cavazza | MIT | Scuola e Università | Stati Uniti d'America | Università degli studi di Bologna

 

Il progetto di Stanford, una sorta di social network pensato per il secolo dei Lumi, come le mappe digitali dei medievalisti della Drew University, sono esempi di come nelle università americane mette radici una nuova disciplina o meglio un nuovo modo di studiare letteratura, storia, filosofia, le digital humanities o humanities computing. Giovani professori di lettere e di programmazione lavorano insieme e danno diverso senso al passato. Un nuovo umanesimo che trova terreno fertile sul web, germoglia sui siti degli atenei, è teorizzato da pionieri come la professoressa dell'Università della California Johanna Drucker, dibattuto in un convegno-evento al Mit di Boston nel maggio scorso, consacrato dalla definizione su Wikipedia. Il «New York Times» ha lanciato un'inchiesta su come i nuovi mezzi digitali stanno cambiando il modo di studiare e insegnare le lettere; parla della fine degli "ismi" che hanno scandito i secoli e il nostro liceo, e di una sola idea nel futuro: i dati.
Un matrimonio fra letterati e geeks, sempre meno distinguibili nell'aspetto, in cui l'interpretazione sembra lasciare il passo alla mera ricerca negli archivi su dischetto. Edelstein ridimensiona: «I mezzi digitali non cambiano quello che facciamo: ci fanno fare un passo avanti nella ricerca ma l'interpretazione è più importante che mai perché, ad esempio, è facile malinterpretare le mappe». È vero però che i dati non sono asettici: «I mezzi digitali permettono di farci nuove domande e ci fanno capire quanto poco abbiamo capito del passato». Più suggestiva la Drucker durante il convegno al Mit: «Con le rappresentazioni grafiche del sapere umanistico i data diventano "capta", nuovi significati». Così mentre il mondo dei media ripete al mondo e a se stesso che non è importante il mezzo quanto il contenuto, il mondo delle lettere usa il mezzo alla ricerca di nuovo contenuto.
Un'avanguardia certo in un'America che assiste a poco rassicuranti dibattiti tv sulla qualità delle scuole pubbliche – a dispetto delle ispirate pagine di Obama sull'educazione nel libro L'audacia della speranza – e si interroga su come saranno cervello e capacità di apprendimento delle prossime generazioni, modificati da iPhone e pc. Ma anche l'ennesima dichiarazione d'amore per la tecnologia sublimato in What technology wants nuovo libro dell'ottantenne Kevin Kelly, papà della rivista «Wired» che tratta la tecnologia come un essere vivente e conia la parola technium, un mondo completamente interconnesso che va oltre «il lucido hardware» e «include cultura, arte, istituzioni, creazioni intellettuali di ogni genere».
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