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Cultura-Domenica Arte

Loghi e lettering famosi. Ecco perché funzionano

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Questo articolo è stato pubblicato il 18 dicembre 2010 alle ore 09:45.

L'Helvetica classe 1953, uno delle font più diffuse, è stato il primo carattere di stampa ad entrare nella collezione di un museo, il Moma di New York. Basterebbe questo esempio per dimostrare l'importanza del segno tipografico nel nostro quotidiano.

Anche se pochi di noi sono in grado di percepire in modo consapevole le sfumature che contraddistinguono una font, bisogna sapere che dietro ogni carattere c'è uno studio approfondito delle variabili. I risultati, complice la tecnologia, sono tantissimi.

«Per chi svolge attività di design - spiega Antonio Pace di Inarea - non considerare il potenziale grafico della parola e della scrittura è un'occasione persa. Per questo non si interviene solo su marchio e logotipo, ma bisogna anche caratterizzare la parola come un sistema di segni».

Vedi alla voce: città di Milano. La metropolitana della città lombarda può contare su un carattere ad hoc creato da Bob Noorda e dalla Unimark. Dato questo precedente illustre il nuovo logo non poteva che essere all'altezza: «Dieci anni fa abbiamo costruito il typedesign del Comune, partendo dall'idea che dovesse evocare la moda e il disegno automobilistico. Assegnando la funzione di un vero e proprio logotipo e di un font istituzionale». Riconoscibile anche solo nei frammenti di parola, «magari solo la parte bassa, per la visibilità ostruita dalla nebbia», scherza Pace. «E' un segno altamente caratterizzante».

Nel caso della Sapienza - Università di Roma, la nuova formula del nome è stata progettata insieme a un carattere tipografico ("Sapienza", appunto) che incrocia gli stilemi delle scritture carolingie, la classicità del Bodoni e la modernità del Sans-Serif. Mentre per Eni, nel rifacimento del lettering disegnato da Unimark usando un carattere classico, lo Standard Bold (font pesante e spigoloso: stabilità e solidità), ma personalizzato da un filetto bianco centrale (dinamicità), Inarea è passata dal maiuscolo al minuscolo. Perché? «Partendo dal fatto che in questo caso la sola visione delle lettere consente di riconoscere il marchio, la scelta è stata strategica: trasportare il colosso in una dimensione amicale, scendere a livello one-to-one, renderlo friendly».

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Domenica di carattere

Dal 5 dicembre, in edicola, troverete una «Domenica» tutta nuova: ha rinnovato carattere e veste

Tags Correlati: Antonio Pace | Arte | Bob Noorda | Eni | Esselunga | Inarea | IVECO | Max Huber | Piero De Macchi | Prénatal | Unimark | Università La Sapienza

 

In generale, quindi, è possibile dire che le maiuscole significano: istituzione, autorità, formalità. Le minuscole: vicinanza, familiarità, informalità. Ecco forse trovata anche la chiave per spiegare il nuovo typedesign di un marchio di abbigliamento per bambini come Prenatal, che dal tutto-maiuscolo monocromo è passato al minuscolo arrotondato e bi-colore. Come all'opposto, l'originale scritta Supermarket disegnata da Max Huber con una grande "esse" iniziale, la cui parte superiore si allungava su tutta la parola in minuscolo, si trasformò negli anni '60 nella Esselunga maiuscola che tutti conosciamo. O un marchio quale Iveco negli anni ‘80 si affidò al designer Piero De Macchi, che oggi spiega: «C'era bisogno di un alfabeto istituzionale. Un alfabeto pesante perché dedicato ai veicoli pesanti». Ma che non fosse spigoloso e anzi significasse maneggevolezza.

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