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Cultura-Domenica Arte

I beats. Immagini di una leggenda

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Questo articolo è stato pubblicato il 20 dicembre 2010 alle ore 16:45.

Allen Ginsberg e William Burroughs hanno entrambi scoperto tardi che realizzare opere d'arte figurativa è un buon sistema per far soldi. La letteratura, lo scrivere non lo sono. Incontri e conferenze sono economicamente interessanti, ma finiscono per essere stancanti, o può capitare che il relativo mercato si esaurisca. Nessuno dei due è mai stato pazzo per i soldi, ma quando si diventa vecchi serve disporre di una qualche copertura economica o ancora di salvezza. Burroughs si è convertito alla pittura.

Ha messo un po' di vecchie latte di vernice davanti a tele bianche e le ha prese di mira sparando: gli schizzi e le macchie erano l'opera d'arte. Per quanto siano le opere figurative più note di Burroughs, questi dipinti costituiscono soltanto una piccola parte della sua produzione. Burroughs ha realizzato ventiquattro di tali shotgun paintings nel 1982 e poche altre prima della sua morte, nel 1997. Secondo il suo amico James Grauerholz, Burroughs ha in realtà sfornato più di 1500 opere d'arte tra il 1982 e il 1996 (tra queste un gran numero di stencils e targets1: esse si presentano per la maggior parte come composizioni astratte in cui sono aggiunte macchie di colori smaglianti). Parecchi musei e più di ottanta gallerie di tutto il mondo le hanno esposte.

Come ha detto Ginsberg: «Se sei famoso, puoi sempre cavartela, qualunque cosa tu faccia! William Burroughs ha passato gli ultimi dieci anni dipingendo, facendo così più soldi con i quadri di quanti ne abbia mai fatti prima con i suoi scritti. Se ti sei affermato in un certo campo, è possibile che la gente ti prenda sul serio anche in un altro. Anzi, forse troppo sul serio. Conosco un sacco di grandi fotografi che lavorano assai meglio di me, ma che non possono contare su grossi e splendidi volumi in carta patinata come i miei. Sono fortunato».
Ginsberg ha incominciato a scattare fotografie dei suoi colleghi con una macchina fotografica presa in prestito verso la metà degli anni Quaranta. Nel 1953 ha acquistato per 13 dollari un piccola Kodak Retina di seconda mano in un banco di pegni della Bowery e, nei dieci anni successivi, ha fotografato gli amici in pose del tutto casuali e spontanee. Soltanto nel 1983, trent'anni dopo, ha ritrovato, tra le sue carte, queste fotografie.

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Sarah Greenough, nel catalogo della mostra che è stata allestita questa estate a Washington, Beat Memories: The Photographs of Allen Ginsberg, dice: «Da tempo nemico del materialismo americano e convinto del fatto che, invece di pagare le tasse, sia meglio essere generosi con amici e colleghi, sostenendo giuste cause, si è ritrovato alla metà degli anni Ottanta vecchio e con pochi soldi in banca. Fino alla sua morte, nel 1997, ha tenuto, in giro per il mondo, un bel po' di lezioni e corsi operativi sulla "poetica dell'istantanea", lavorando attivamente con mercanti d'arte e agenti per vendere le proprie fotografie e i relativi diritti di riproduzione».

E, proprio negli anni Ottanta, Ginsberg si è impegnato ad aggiungere alle foto didascalie zeppe di affettuose chiacchiere, scritte a mano, che spiegavano quanto accadeva nelle varie scene: ovviamente questi autografi le rendevano oggetti unici, aumentandone il valore.
Nel 1994 Ginsberg ha venduto i suoi archivi alla Stanford University per un milione di dollari, ma, dopo le detrazioni per pagare la casa d'aste, il suo agente e le tasse, ne ha ricavato soltanto i soldi sufficienti a pagare il loft dove abitava a New York, ritrovandosi così di nuovo a secco. Le fotografie gli hanno procurato qualche utile negli ultimi anni, anche se continuava a sostenere che la maggior parte dei profitti veniva reinvestito nel suo lavoro, per pagare lo stipendio di un assistente che aveva assunto e per mantenere in efficienza un laboratorio.

Il fascino delle immagini deriva dal fatto che poche di esse sono già note a tutti e che molte presentano i soggetti nella loro giovinezza: ecco ad esempio un Ginsberg dal volto fresco, goffo e quasi ingenuo, con tutti i denti, molti anni prima di diventare il guru barbuto che conosciamo, e un malinconico, poetico William Burroughs prima che assumesse l'aria da preistorico impresario di pompe funebri, tipica dei suoi soliti ritratti. C'è perfino un nudo di Burroughs sul letto, immerso nell'ombra, che risale al periodo in cui Ginsberg e lui erano amanti.

Quasi tutti i beats erano bisessuali e amanti uno dell'altro. Neal Cassady, il rubacuori del mucchio, andava a letto con chiunque, maschio o femmina, anche se preferiva le donne, ed era infedele con tutti. Permetteva a Ginsberg di dormire con lui, ma principalmente per fargli un favore e in parte per provare questa esperienza: poco dopo il loro idillio a New York, Cassady piantò in asso un Ginsberg malato d'amore e corse a Denver, dove ebbe molte avventure con varie donne. Ginsberg lo raggiunse, ma fu ignorato per quasi tutto quel periodo. Burroughs ha avuto come compagna una donna, Joan Vollmer Adams: l'appartamento che condividevano, a New York, con Kerouac e la sua prima moglie, Edie Parker, è stato un essenziale punto d'incontro per i beats negli anni Quaranta.

Nel 1951, a Città del Messico, dove si erano trasferiti, Burroughs sparò a Joan, giocando a fare Guglielmo Tell, con un esito purtroppo tragico. Fuggì, rientrando negli Stati Uniti per evitare la prigione. Su questo incidente più tardi avrebbe scritto: «Sono obbligato a giungere alla terrificante conclusione che senza la morte di Joan io non sarei mai diventato uno scrittore, e a rendermi conto di quanto questo evento abbia motivato ed espresso la mia scrittura […] la morte di Joan mi ha messo in contatto con l'invasore, lo Spirito del Male, e mi ha trascinato in una battaglia lunga un'intera vita, in cui non ho avuto altra scelta che scrivere la mia via d'uscita»2.

Kerouac era sostanzialmente eterosessuale, ma era dedito all'alcol e di conseguenza, occasionalmente, si è interessato a Ginsberg. Peter Orlovsky, che, quando Ginsberg lo incontrò, faceva davvero colpo, era eterosessuale, ma un po' fuori di testa: lasciò che l'inesperto Ginsberg facesse sesso con lui al loro primo incontro e si mise a piangere sbalordito da ciò che era accaduto. Sono rimasti insieme per il resto della loro vita, anche se spesso la paranoia di Orlovsky era tale da renderlo incontrollabile e da obbligarlo a essere ricoverato in case di cura; in qualche occasione si dimostrava ostile a Ginsberg.

Mi ricordo di aver chiesto, non molti anni fa, a un amico eterosessuale perché aveva fatto sesso con Ginsberg; con entrambe le mani aperte, a palme in alto, come se la cosa fosse evidente, rispose: «Bello mio, era Allen Ginsberg».

Sono stati tutti riuniti nella mostra allestita alla National Gallery of Art: un gruppo proprio bello da vedere, specialmente i giovani Kerouac, Cassady e Orlovsky. Forse la più memorabile delle fotografie esposte era quella di Kerouac che vagava nella East 7th Street a Manhattan nell'autunno 1953 «con una faccia da matto alla Dostoevskij o da basso profondo bop che intona un Om», per quanto mi piaccia invece pensare che la sua bocca fosse aperta in un enorme "O", perché stava recitando i versi «Oh arpa e altare, fuso dalla furia, (come poté la semplice / fatica allineare i tuoi archi corali!)» dell'ode scritta da Hart Crane per il non lontano ponte di Brooklyn3.

Cassady sembrava un naturale alter ego di Marlon Brando e infatti un'altra foto esposta, del 1955, lo mostrava con uno dei suoi fuggevoli amori, Natalie Jackson, in posa davanti all'ingresso di un cinema il cui cartellone reclamizza Il selvaggio4.

In un'altra immagine, l'eternamente elegante Paul Bowles appariva in un vestito di lino indiano e cravatta a costine tra lo sporco e quasi sordido Gregory Corso e il decisamente bizzarro Burroughs: erano a Tangeri e l'anno era il 1961. Burroughs era vestito come uno stenografo di tribunale: camicia nera a maniche lunghe, abbottonata fino al collo, calzoni ben stirati stretti con la cintura quasi sul petto e un cappello di feltro floscio che faceva ombra al suo volto devastato dalla droga.

Le maniche lunghe erano indispensabili, anche in un clima quasi tropicale, per nascondere i buchi fatti dagli aghi delle siringhe.

Una foto esposta più vecchia, del 1953, mostrava Burroughs che, con un'aria insolitamente soave, non priva di affettazione e quasi teatrale, dava un consiglio, assumendo una posa alla «André Gide», a un intimorito ma adorabile Jack Kerouac, tipico ragazzo all-american appena uscito da un romanzo di Thomas Wolfe (ovviamente l'interpretazione è di Ginsberg). Nella didascalia, apposta all'immagine quarant'anni dopo, Ginsberg raccontava che Burroughs stava dicendo: «ora, Jack, come ti ho detto già nel '45, se ti ostini a tornare a casa per vivere con la tua ‘Memère', ti troverai legato, sempre più stretto, dai lacci del suo grembiule, fino a che sarai diventato vecchio e non potrai più scappare…». Quando ha scritto queste parole Ginsberg sapeva che, nel frattempo, Kerouac era diventato un irrecuperabile etilista (non c'era giorno in cui non fosse sbronzo) e si era trasferito da sua madre a Lowell, nel Massachusetts; poi, con lei, aveva raggiunto la Florida dove, nel 1969, era morto per le complicazioni indotte dalla cirrosi epatica. Aveva soltanto quarantasette anni.

In una fotografia del 1964, Kerouac appariva, secondo quanto scrive Ginsberg, «con la faccia rossa di un corpulento W. C. Fields, che trema come se fosse spaventato a morte…»5 e assomigliava a suo padre. In mostra c'erano, altrettanto devastanti, le tarde foto di Gregory Corso («Maestro di poesia», annota Ginsberg in calce all'immagine dell'amico, innaturalmente gonfio, «quasi una sorta di caduceo Mercurio, messaggero degli dèi, vicino al suo ovile, in un quieto pomeriggio al "Kettle of Fish", vecchio bar del Greenwich Village, sotto la cui insegna Kerouac andava spesso a bere») e di Herbert Huncke («il vecchio e sopravvissuto Herbert E. Huncke», così lo chiama Ginsberg,

«pioniere della letteratura beat che, nel 1945, ha introdotto Burroughs, Kerouac e me nella scena di Times Square con la sua folla sempre oscillante tra prostituzione e droga»). Soltanto Ginsberg sembrava essere riuscito a conservare il suo calore umano fino alla fine. Di fatto una delle foto più commoventi era un suo autoritratto da vecchio, nudo: un'immagine che aveva la dignità, la profondità e, al tempo stesso, la vulnerabilità degli ultimi autoritratti di Rembrandt.

Molto presto, quando avevano appena incominciato a inventare se stessi e l'originale marchio di fabbrica della loro scrittura, Ginsberg e Kerouac decisero di trasformare tutti i loro amici in altrettanti miti. Lo fecero scrivendo uno dell'altro e raccontando le proprie imprese, sacre, o buffonesche, o eroiche, o davvero comiche che fossero, ma anche confrontandosi reciprocamente con personaggi famosi del passato remoto o prossimo. Nelle didascalie per le sue vecchie foto, che assai più tardi ha apposto di proprio pugno sotto nuove stampe, eseguite con una qualità da museo, Ginsberg esalta, in un modo che gli risulta del tutto naturale, le qualità eroiche degli amici. Per una delle foto fece posare Burroughs nella sezione egizia del Metropolitan Museum presso una «sfinge fraterna», quasi a sottolinearne la lugubre personalità. La descrizione data da Ginsberg della «faccia da matto alla Dostoevskij» di Kerouac è stata fatta apposta per associare, quasi ponendoli sullo stesso piano, il suo compagno e il grande scrittore russo.

Le lettere e le pagine di diario di quel periodo rivelano come questi artisti fossero tutti convinti di rappresentare qualcosa di nuovo ed epocale nella storia della letteratura. Di certo Ginsberg studiava letteratura alla Columbia University con Lionel Trilling, critico dal forte impegno politico, e storia dell'arte con l'altrettanto impegnato Meyer Shapiro, mentre, fuori dalla scuola, si intratteneva amichevolmente con William Carlos Williams, il grande poeta tanto più vecchio di lui: l'alto livello intellettuale di queste frequentazioni, davvero esaltante, non faceva che rafforzare la sua convinzione circa il destino di artista che lo attendeva.

Sempre pronto a entusiasmarsi, specialmente per il lavoro dei suoi amici, Ginsberg ha tuttavia avvertito, in qualche caso, che questa sua sconfinata fiducia poteva vacillare. Durante un periodo di ricovero in un ospedale psichiatrico, ebbe l'occasione di incontrare Carl Solomon, nipote di Aaron A. Wyn, che nel 1953 aveva fondato la casa editrice Ace Books. Carl era riuscito a convincere lo zio a pubblicare il primo romanzo di Burroughs, Junkie, ma in seguito Wyn si dimostrò riluttante a stampare Sulla strada di Kerouac: come conseguenza di questo atteggiamento Ginsberg fu tormentato, per un certo tempo, da forti dubbi. Scrisse infatti nel suo diario: «Carl ha dato uno scossone alla mia autostima e mi ha fatto precipitare in uno brutto stato di depressione. È possibile che non ci sia un modo per dire ciò che è buono, secondo noi, se non basandoci su simpatie personali, dettate dal cuore, che sono quasi sempre diametralmente opposte a tutti gli interessi razionali e commerciali?».

In questa fase precoce Ginsberg stava elaborando (come fotografo, ma soprattutto come poeta) la sua dottrina della spontaneità: «Primo pensiero, miglior pensiero»6. L'effettiva invenzione di tale principio spetta probabilmente a Kerouac: esso ha fatto sì che Sulla strada diventasse un classico della letteratura statunitense e ha reso Urlo di Ginsberg (1955) un audacissimo esempio di confessione poetica, al punto che perfino maestri riconosciuti del calibro di Robert Lowell hanno dovuto tenerne conto (il quarto libro di poesie di Lowell, Life Studies, è stato pubblicato nel 1959, quattro anni dopo il testo di Ginsberg). Va però detto che il rifiuto, tipico dei beats, di seguire passo passo l'edizione delle proprie opere ha avuto come conseguenza la produzione di un buon numero di poesie e romanzi ripetitivi, in cui abbondano monotone lungaggini. Ginsberg ha dato sempre il meglio di sé nelle poesie visionarie, come in questi folgoranti versi liberi di Visitazione in Galles 7:
«Tutta la valle ha avuto un brivido,
[un moto esteso, vento
ondulato su colline muschiose
uno sciacquo enorme e nebbia
[bianca affondava delicata in rivoli
[rossi
giù per la costa del monte
che di foglie fronde viticci tutta a
[onda si muoveva
in risacca granitica giù in basso –
sollevando la fluttuante Nebulosa, e
[le braccia agli alberi
e sollevando le erbe in un attimo
[d'equilibrio
e gli agnelli in fissità sollevando
il verde della collina, tutto in un'unica
[solenne ondata
Una massa solida di Cieli,
[brumintrisa, rifluisce per la vallata».

Ecco che cosa ha scritto Ginsberg, nel 1949, a proposito del suo compagno Herbert Huncke, che era sempre al verde. I due vissero brevemente insieme e Huncke di continuo cambiava e sfasciava l'arredamento bruciando pezzi di legno per annusare l'odore del fumo che ne usciva: «forse non aveva niente di meglio da fare. Ma io ero pieno di ammirazione per queste sue attività, in cui riconoscevo un tocco caratteristico di Huncke, soltanto suo e perciò prezioso, gradevole e degno di onore. Erano parte integrante di tutto il suo essere e della sua "forza vitale". Mi divertivo anche a mitizzare i tratti del suo carattere. Si tratta di un giochetto che, in passato, Kerouac, il romanziere (che ha scritto parecchio su Herbert Huncke) e io stesso abbiamo spesso coltivato».

In realtà non l'hanno fatto soltanto e sporadicamente in passato, ma nel corso di tutta la loro carriera. Si tratta in effetti di una strategia che è semplice mettere in atto. Avete un gruppetto di amici e dichiarate che essi sono tutti autentici geni, ne lodate tutte le opere e attribuite loro dolcezza di tocco e, insieme, impeto travolgente, qualità degne degli dèi greci. A questo punto ciò che vendete non è più ciò che scrivete, ma l'insieme delle vostre leggende personali.

da ‘The New York Review of Books'
di Edmund White
Beat Memories: The Photographs of Allen Ginsberg, Mostra presso la National Gallery of Art, Washington, D.C., dal 2 maggio al 6 settembre 2010.
Catalogo della mostra a cura di Sarah Greenough, National Gallery of Art/Del Monico, New York, pp. 137, $ 49,9

(Traduzione di Giorgio P. Panini)
Note:
1.Sagome umane rozzamente tracciate con evidenziatori su spessi cartoni, contro le quali l'autore ha sparato con una pistola da sceriffo, riempiendole di buchi e dando così origine a giochi d'ombre e di profondità. N.d.T.
2. William S. Burroughs, Checca, Milano, Adelphi, 1998, pp. 24-25.
3. Hart Crane, Il ponte di Brooklyn, in Il ponte e altre poesie, a cura di Roberto Sanesi, Milano, Garzanti, 1984, pp. 6-7.
4. Film di Laszlo Benedek del 1953, dove l'attore Marlon Brando interpreta Jhonny, il capo di una gang di motociclisti. N.d.R.
5. W. C. Fields è il comico statunitense presente in moltissimi film degli anni Trenta, noto per aver interpretato Humpty-Dumpty nell'Alice in Wonderland (1933) di Norman Mc Leod. N.d.T.
6. Alen Ginsberg, Saluti cosmopoliti, in Saluti Cosmopoliti. Poesie 1986-1992, a cura di Luca Fontana, Milano, Il Saggiatore, 1996, pp. 24-25.
7. Allen Ginsberg, Visitazione in Galles, in Poesie scelte 1947-1995, Milano, Net, 2005, pp. 396- 399.

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