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Cultura-Domenica Arte

A Catanzaro la memoria collettiva dal neorealismo al web si fissa tra foto e video

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Questo articolo è stato pubblicato il 20 dicembre 2010 alle ore 12:36.

CATANZARO. La scaletta dell'aereo ricolma di migranti fino alla ressa è ferma in aeroporto. Sospesa nell'aria con il suo carico di gente stremata non porta però a nessun velivolo. Dopo l'ultimo gradino... il vuoto. Nessuna hostess che dia il benvenuto, niente di niente. Solo, assordante, il rombo dei motori. Con questa immagine densamente simbolica Adrian Paci scandaglia con grande forza metaforica l'attimo della realtà livida e tragicamente insulsa degli immigrati- messicani e non solo- clandestini costretti al rimpatrio. Cittadini disperati di nessun luogo che nessuno è disposto ad accettare. Forza lavoro che si può usare ma che è vietato accogliere.

Ai critici che i ritardi e la neve ha reso quanto mai lontana Milano dalla meta di Catanzaro quest'immagine di passeggeri-deportati nel video dell'ultima sala del Museo Marca giunge in tutta la sua forza evocativa. Un ultimo colpo nello stomaco che lascia sgomenti. Come potrebbe essere altrimenti?

Il percorso narrativo dell'esposizione ti fa affondare negli stessi "volti da emigrati" che Mario Cresci ha fissato nella memoria e non solo dei suoi Ritratti reali realizzati nella Tricarico dei primi anni '70. Poveracci costretti in tuguri che affidano le loro memorie familiari - fatte di poco o di nulla - agli "oleografici" ritratti dei genitori e nonni esibiti in cornice- quelle stesse foto che poi ritrovavi pari pari incastonate in cimitero - come l'unico fra i ricordi di gente che nulla può ed ha. Sono fotografie come memoria e fissazione del rito familiare e collettivo. La stessa storia di una comunità che ritrovi negli scatti di Nino Migliori con le scene di vita per strada, crocchi di gente raccolta sui gradini appena fuori dall'uscio. Pagine neorealiste che non ritrovi più tali, e che sanno di testimonianza e d'affetti perduti.

Facebook ante litteram

Testimone ante litteram del passaggio dalla società di massa alla società di rete è Franco Vaccari. «Un tempo la gente voleva vivere, non guardarsi vivere». Parola di uno che con il suo Esposizioni in tempo reale n.4 Lascia su queste pareti una traccia del tuo passaggio alla Biennale di Venezia del 972 ha fatto al contempo storia e futuro. Al suo scatto con accanto la cabina di fototessere Photomatic ne seguirono 6 mila dei visitatori che con il proprio anonimo siglavano la loro personale voglia di protagonismo. Solo tre anni dopo sarebbe arrivato il personal computer e Facebook era davvero ancora molto lontana. L'imperante narcisismo dell'IPhone mania, nemmeno un sogno! Le comunità prettamente estetiche di Zygmunt Bauman arriveranno ben più tardi, ma all'occhio di Vaccari tutto appariva già fin troppo chiaro.

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Tags Correlati: Adrian Paci | Arte | Borsa di Milano | Catanzaro | Franco Vaccari | Gabriele Basilico | Mario Cresci | Naomi Vaona | Pier Paolo Pasolini | Vanessa Beecroft

 

Tocca alla figura esile di Cristian Chironifare da vibrante trait d'union fra passato e presente. Autoritraendosi a margine di formazioni calcistiche d'antan, Chironi innesta la relazione nell'atto performativo, attualizzando con ironia quel che non è più. In Propp 2008 l'artista sardo si lascia affascinare dal discorso sul calcio di Pier Paolo Pasolini. Il linguaggio del football e la sua struttura irrompono nello spazio comunicativo con tutta la potenza del gioco-segno. Forti dell'immagine evocativa del grande poeta e regista, la memoria si fa vissuto dell'oggi, il ricordo diventa autoironia, con il di più del presente a colorare sfondi sempre attuali.

A Paola Di Bello il compito di testimoniare l'evoluzione architettonica di Milano attraverso una ridefinizione del concetto identitario. Gabriele Basilico guarda invece insolitamente alle esperienze hippy milanesi del 1976,mentre Naomi Vaona con gli infedeli mediatici fissa in immagini le reazioni su webcam degli internauti voyeur alle prese con la volontaria esposizione ad un film proibito. Glocal e global si confrontano nel local periferico di Catanzaro, che sa così proiettarsi al centro dello spazio di relazione comune. Lasciano pertanto quasi indifferenti, forse perché non necessari, gli ammiccamenti di percorso a certe interazioni studiatamente teatrali. L'apprezzata Vanessa Beecroft, nei suoi fissi cliché di respiro ben internazionale, qui risulta troppo eterea e distaccata, facendo smarrire un filo che solo la bravura dei Flatform sa recuperare ad una mostra che è valsa bene il viaggio.

Community. La ritualità collettiva prima e dopo il web. Marca, Museo delle arti Catanzaro, fino al 27 marzo 2011. Catalogo Electa.

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