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Questo articolo è stato pubblicato il 28 dicembre 2010 alle ore 11:22.
La Jazz Shots pubblica in questi giorni uno straordinario dvd musicale che non dovrebbe sfuggire ai cultori avveduti dell'arte dei suoni. Per un'ora esatta si può ammirare il sommo pianista canadese Oscar Peterson al suo meglio sia come artista, sia nell'aspetto (si ricordi che è scomparso nell'antivigilia del Natale del 2007 a 82 anni), prima che il suo fisico alto e atletico diventasse enorme, al punto da muoversi con fatica. Il titolo è «Oscar Peterson Trio at Ronnie Scott's 1974 with Niels-Henning Orsted Pedersen & Barney Kessel», rispettivamente contrabbasso e chitarra: il Ronnie Scott's è tuttora un rinomato jazz club di Londra.
In copertina c'è Peterson seduto al pianoforte, elegante come sempre, e sul polso destro s'intravede la catenella d'argento da cui non si separava mai. I brani che si ascoltano sono complessivamente dodici, ma soltanto i primi sette sono ambientati al Ronnie's nel novembre 1974. Segue un brano per pianoforte solo registrato durante il festival svizzero di Montreux nel 1975, mentre gli ultimi cinque appartengono a uno spettacolo televisivo inglese dell'ottobre 1964. Qui le immagini sono in bianco e nero e il trio è diverso: con il pianista collaborano Ed Thigpen alla batteria e Ray Brown al contrabbasso. Una curiosità: il trentanovenne Peterson porta i capelli crespi accuratamente stirati con l'apposita pomata, mentre in seguito si conformerà al monito del Black Power "nero è bello", per cui mostrerà i suoi capelli crespi tagliati corti. Le immagini sono sempre pregevoli, ma le migliori sono quelle del Ronnie's che insistono sulle mani grandi e agilissime di Peterson, capaci di coprire tredici tasti del pianoforte.
Qui vengono in mente le parole che disse dopo aver conosciuto e ascoltato a lungo il pianista Art Tatum: «E' il mio maestro e amico, ed è la persona più stupenda che io abbia incontrato, il pianista migliore dell'intero arco storico del jazz». E' un giudizio che si può ancora condividere. Peterson sapeva di continuarne il messaggio musicale e ne era orgoglioso. Ma Tatum, ammirato da illustri interpreti classici come Vladimir Horowitz e Arturo Benedetti Michelangeli, oggi lo possiamo apprezzare soltanto attraverso i suoi dischi, per fortuna numerosi, perché le immagini in movimento di lui al pianoforte sono poche, e quindi si vede di rado la tecnica superba delle sue mani che quasi giocano con i tasti, sebbene Tatum fosse cieco dalla nascita. Le mani di Peterson al Ronnie's, invece, sono uno spettacolo nello spettacolo. Eppure proprio «la tecnica che si fa arte» fu la causa della sottovalutazione di entrambi. Tatum e Peterson furono sempre al di fuori e al di sopra delle scuole del jazz e influirono poco sulle svolte frequenti del linguaggio della musica afro-americana. Peterson fu "soltanto" un puro virtuoso, capace di trasformare qualsiasi canovaccio musicale – aveva un repertorio sconfinato ed era anche buon compositore – in un'opera tutta sua, sia che suonasse da solo, in duo, in trio o con gruppi più o meno numerosi. E al puro virtuoso gli appassionati e gli esperti di jazz, talvolta dilettanti, non erano preparati.