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Questo articolo è stato pubblicato il 28 dicembre 2010 alle ore 13:36.
Dopo la grande infornata del 17 dicembre, dove cinepanettoni, blockbuster e outsider hanno intasato le uscite, ecco arrivare insieme al gradevole «Le avventure di Sammy», esempio mirabile di un film per un target preciso (i più piccini di sicuro usciranno soddisfatti dalla visione), «Un altro mondo», opera seconda di Silvio Muccino, dopo il fortunato (per incassi) esordio «Parlami d'amore».
Un bel rischio per il ragazzo prodigio che cominciò col fratello Gabriele, poi si fece sceneggiatore e interprete per Giovanni Veronesi («Che ne sarà di noi», Silvio allora era troppo giovane per dirigerlo) e ora, appunto, regista. Massimo Troisi, per far capire quanto il secondo film lo preoccupasse, si inventò un titolo geniale, che divenne modo di dire: «Ricomincio da tre».
Un film mal riuscito
Ecco, a dirla tutta, il pur talentuoso Silvio avrebbe dovuto seguire quel consiglio. Già, perché, purtroppo, è un film mal riuscito. Non che il giovane regista non si sia impegnato nel lavoro tratto dal libro omonimo (ed. Feltrinelli) - a dir la verità anch'esso mediocre - della soldale Carla Vangelista, che lo affianca anche in sceneggiatura. Così come i produttori, Cattleya e Universal, non si sono risparmiati, concedendogli il suo film a metà tra Africa e Roma, con un cast eccellente e al montaggio e alla fotografia campioni come Cecilia Zanuso e Marcello Montarsi.
Flop al botteghino
Va detto che l'unica scommessa della campagna acquisti, Michael Rainey Jr., scovato in un videoclip di Tiziano Ferro, risulta vinta. Anche se il piccolo è fin troppo bravo, risulta quasi eccessivo, finto. Eppure, come Benitez, Muccino jr pur avendo a disposizione uno squadrone e talenti da vendere, stecca. E la stecca è ancora più evidente per la scellerata scelta di uscire il 22 dicembre - per ora punita pesantemente al botteghino -, forse perché accecati, produttori e regista, da una sopravvalutazione del prodotto. I primi avrebbero detto al loro regista che il suo era un film di Natale, uno di quelli «alla Frank Capra», lui ha definito il suo lavoro come «un About a boy ai tempi di Obama».
Ma la Ragonese di salva
Niente di tutto questo, il film è una fiaba confusa e irritante. Fin da quel monologo iniziale «Ci sono persone...», che ci sbatte in faccia un Muccino-pensiero che sembra quasi la parodia di Max Tortora, fin da quella festa in cui ci si illumina solo quando dalla torta esce Isabella Ragonese, sexy nell'ironia con cui affronta l'entrata in scena alla Marylin Monroe. E la bravissima attrice si salva - come pure Greta Scacchi - nonostante entrambe abbiano i dialoghi più difficili da digerire, nonostante Muccino a un'impostazione di sceneggiatura già precaria e qualunquista aggiunga battute che suscitano spesso umorismo involontario. Quando la Ragonese si confronta con il bimbo, per esempio, riesce a mostrarsi in quel talento qui spesso mortificato. Muccino non riesce a tirarci fuori dalla banalità del suo racconto, non percorre quell'improvvisazione comica che a volte nel confronto col piccolo protagonista ci strappa il sorriso, si prende maledettamente sul serio come regista, sceneggiatore e attore. Pur essendo, a livello recitativo, il punto debole della pellicola.