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Questo articolo è stato pubblicato il 02 gennaio 2011 alle ore 10:38.
«I wanted to write, not report». È quanto dichiara "Sua Altezza" Gay Talese, principe senza eredi del giornalismo americano, in un'intervista (The Art of Nonfiction) apparsa lo scorso anno su «The Paris Review». Considerato l'inventore (anzi, il fondatore, insieme a Tom Wolfe, Truman Capote, Norman Mailer, Joan Didion, Jimmy Breslin, George Plimpton e Hunter S. Thompson) di quel movimento – metà strada tra letteratura e cronaca – cui fu appiccicata l'etichetta affatto nuova di "New Journalism", Talese ci tiene a precisare.
Ammira Tom Wolfe, «unico come persona, grande reporter e inarrivabile stilista» ma non metterebbe mai né Breslin né Thompson sullo stesso piano. Quanto a lui – Talese – non si è mai considerato parte di nessun gruppo. Semplicemente voleva arrivare a scrivere come Francis Scott Fitzgerald, e come giornalista ha sempre cercato di dare ai propri pezzi quello spessore che non hanno i comunicati di agenzia, usando gli accorgimenti tecnici degli scrittori di fiction – ambientazione, dialogo e, a volte, persino il monologo interiore – per raccontare delle storie i cui protagonisti sono però veri in tutto e per tutto, nome e cognome compresi. Frank Sinatra ha il raffreddore, che dà il titolo alla traduzione di un'antologia pubblicata in America come The Gay Talese Reader, è un ritratto di una cinquantina di pagine uscito nel 1966 su «Esquire», tuttora considerato tra i dieci più belli articoli mai pubblicati dalla rivista nei suoi quasi ottant'anni di storia. E dire che Talese non incontrò mai Sinatra, né mai ebbe occasione di parlargli. Tutto inventato di sana pianta, quindi?
Niente affatto. Talese lavora lentissimamente, parola per parola, punto su punto, verifica dopo verifica, come si fa in una sartoria di abiti su misura. Figlio di un sarto, l'elegantissimo Talese confeziona i propri ritratti conducendo indagini che durano settimane, mesi, talora anni. Chi è stato nel suo studio, un bunker senza finestre sotto la casa in cui abita a New York, racconta di schedari, scatole di fotografie, appunti, annotazioni, interviste, che occupano le quattro pareti fino al soffitto. E Talese, che non butta mai via niente, riletto in questi splendidi lunghi pezzi che vanno da personaggi famosi come Joe Louis, Joe Di Maggio, Muhammad Alì e Peter O'Toole, fino all'oscuro estensore dei "coccodrilli" al «New York Times», dimostra, come hanno detto in molti, che davvero "il genio è pazienza".