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Questo articolo è stato pubblicato il 07 gennaio 2011 alle ore 06:40.
Occhiali a perno, a ponte, con stanghette, monocoli, lenti d'ingrandimento, binocoli, telescopi, polemoscopi ma anche occhiali «degli avari» o «dei gelosi» sono protagonisti di un excursus attraverso la storia delle lenti firmato da Arnauld Maillet, storico dell'arte e della visione, recentemente pubblicato da Raffaello Cortina (pagg. 126, € 14,00).
Partendo da cenni storici, alla ricerca dell'incerta origine degli occhiali, l'autore tratta la loro rappresentazione artistica e letteraria, per fare poi una riflessione filosofica sull'esperienza visiva che, con un ribaltamento di prospettiva, ci aiuta a vedere i «giochi che si celano dietro gli occhiali» e rivela qualcosa del nostro rapporto con il mondo.
Di tartaruga per gli eleganti, di acciaio per gli intellettuali, così li classificava Francis Scott Fitzgerald. Walter Benjamin o Antonio Gramsci sono inimmaginabili con una spessa montatura tartarugata o con una larga montatura scura. Solo Arthur Miller riusciva a trasformare la sua montatura a finestra in una nota malinconica, mentre quel gaudente di Henry Miller occhieggiava le donne con occhialini tondi da topo di biblioteca cerchiati però di bachelite scura. Lo stesso modello di Aldous Huxley e del suo collega in semiciecità James Joyce. O di quello escogitato da Jean-Paul Sartre per incorniciare il geniale strabismo. Cesare Pavese invece guardava diffidente il mondo attraverso dei Gramsci dilatati dall'angoscia.
Pochi tra i contemporanei rinunciano a questo nobile accessorio. Antonio d'Orrico se li abbassa solo per farsi fotografare, ma non se ne separa mai. Senza quelle lenti speciali ad altissimo ingrandimento non potrebbe scorgere tutti quei geni che sfuggono agli altri. Gli occhiali a finestra, con larga montatura scura, denotano l'autore di successo, da Umberto Eco a Eugenio Scalfari, da Pietrangelo Buttafuoco fino a Vittorio Sgarbi, narratori che non si lasciano distrarre dagli estetismi o dalle minuzie, ma puntano a vedere, e quindi ad avere di più. Non a caso sono anche gli occhiali grazie ai quali Andrea Camilleri sforna best-sellers. Basta però un malinconico basco e gli occhialoni di Guido Ceronetti minacciano l'Apocalisse. Esistono però anche delle vie di mezzo. Come la linea intermedia adottata da Antonio Pennacchi, quella specie di Gramsci XL, che ha contribuito a fargli meritare lo Strega. La stessa linea adottata dall'umorale Franco Cordelli. Storico il compromesso di Domenico Starnone che usa occhiali alla Gramsci di finta tartaruga. Qualcuno avverta Emanuele Trevi che ha preso un abbaglio con quella montatura rettangolare da pensionato al Viagra. Sembra averli rubati a Michel Houellebeck, che deve essersi ispirato a sua volta a quelli perversi dei turisti sessuali. Solo la frangia avventurosa di Roberto Cotroneo può consentirgli quei rettangolini da manager dinamico. D'altronde insegna alla Luiss.