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Questo articolo è stato pubblicato il 07 gennaio 2011 alle ore 18:08.
Era il 1989 quando Raf presentò a Sanremo «Cosa resterà degli anni ‘80», canzone che divenne presto un grandissimo successo commerciale nonostante fosse arrivata soltanto quindicesima nella graduatoria finale del festival.
Il cantautore pugliese scelse un titolo che ben rappresenta un sentimento e una domanda, aperta ancora oggi, su un decennio le cui tendenze stanno tornando sempre più di moda.
Gli anni '80 sono stati un periodo estremamente contradditorio e difficile da analizzare: al culto del corpo si è affiancata la minaccia dell'AIDS identificato nel 1981 e, insieme ai costanti progressi informatici e tecnologici, si ricorda il disastro di Chernobyl del 26 aprile 1986.
In ambito letterario Umberto Eco pubblica «Il nome della rosa», mentre nell'universo musicale è sempre più dilagante la presenza di sintetizzatori e strumenti elettronici, che si uniscono alla moda crescente dei videoclip (il canale di Mtv venne inaugurato a New York nell'agosto del 1981).
Meno semplice è invece definire le tendenze del cinema, in particolare quello americano che negli anni '80 arriva a dominare sempre di più il mercato mondiale.
Un tentativo di far capire al pubblico quali furono le linee guida dei film statunitensi del decennio verrà fatto dalla cineteca di Milano che, dal 7 al 26 gennaio 2011, presenterà allo Spazio Oberdan la rassegna «Ordinary People - il grande cinema popolare degli anni ‘80»: un ciclo di film, che verrà aperto venerdì 7 gennaio con le proiezioni di «Cocoon – L'energia dell'universo» di Ron Howard e di «Gente comune» (il cui titolo inglese «Ordinary People» dà il nome all'intera manifestazione) di Robert Redford, composto da tredici pellicole dirette da altrettanti registi che hanno fatto la storia del cinema a stelle e strisce.
Dopo la ricerca di soggetti legati alla cronaca e alla realtà giovanile della New Hollywood dei '70, gli anni '80 rilanciarono prepotentemente la figura della star e il fanatismo per i divi, considerati sempre più irraggiungibili.
Questo trionfo del corpo d'attore venne ben rappresentato (oltre che da "forzuti" come Sylvester Stallone e Arnold Schwarzenegger) dalla prestanza fisica unita ai modi eleganti e gentili di Richard Gere, protagonista della rassegna allo Spazio Oberdan con ben due titoli: «American Gigolò» di Paul Schrader e «Ufficiale e gentiluomo» di Taylor Hackford.