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Conflitti capitali sulla scena

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Questo articolo è stato pubblicato il 09 gennaio 2011 alle ore 14:13.

C'era una volta un re, o un aspirante tale. Si chiamava Agamennone o Edipo, Lear o Macbeth. Riempiva il teatro della sua grandezza e della sua tracotanza, che lo portavano alla rovina ma che agli occhi degli spettatori lo rendevano come loro, umano. Oggi sul palco salgono manager della finanza o imprenditori, si chiamano Jeffrey Skilling, Bernard Madoff o Hammond.

Sono protagonisti di fatti di cronaca o personaggi inventati, incarnano il volto feroce del capitalismo, l'avidità di potere e profitto che genera distruzione per sé e per gli altri. Non sono poi così diversi da quei re e imperatori protagonisti della grande tragedia, da Eschilo a Shakespeare. Come loro hanno potere e ricchezza, ma non gli basta. Come loro prendono decisioni che hanno conseguenze, nefaste, sulla vita di milioni di persone.

A guardare la produzione dei teatri occidentali, il capitalismo non gode di buona fama, e la recente crisi finanziaria globale non ha migliorato le cose. Come al cinema (si pensi a Wall Street 1 e 2 di Oliver Stone o Capitalism: A Love Story di Michael Moore), così sul palco la rappresentazione dell'economia di mercato e dei suoi meccanismi è quasi sempre di critica e denuncia, se non di spietata condanna. In scena si portano le contraddizioni, gli errori e le ingiustizie provocati dalle degenerazioni di questo sistema. Una lettura ideologica o preconcetta da parte dei drammaturghi contemporanei? Non solo. Esiste sicuramente, e l'Italia non fa eccezione, un filone teatrale di matrice anticapitalista, che da Bertolt Brecht a Pier Paolo Pasolini ha fatto numerosi allievi. Così come è innegabile che dopo lo scoppio della crisi un certo populismo, dilagante in politica al di qua e al di là dell'Oceano, stia invadendo anche il mondo dell'arte.

Eppure il teatro, quando è grande, riesce a mantenere la sua capacità di astrazione, e delle vicende economiche e finanziarie (vere o verosimili) si serve soltanto come pretesto per indagare nei tormenti dell'animo umano. Allora Bernard Madoff (protagonista di Imagining Madoff dell'americana Deb Margolin) non è più il finanziere corrotto condannato a 150 anni di carcere per aver architettato una delle più colossali frodi finanziarie di tutti i tempi, ma un uomo come tutti gli altri, con le sue debolezze e le sue contraddizioni, con la sua capacità di scegliere se fare il Bene o il Male. Come Edipo, come Medea, come Otello. Il mondo della finanza, con i suoi meccanismi complessi e talora ingovernabili, diventa solo lo spunto per parlare di altro, per parlare di uomini.

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Tags Correlati: Bertolt Brecht | David Hare | Enrico Mattei | Imagining Madoff | Italia | Marco Paolini | Mark Ravenhill | Michael Moore | Philip Ridley | Simon Stephens | Teatro | The Power of Yes | Wall Street

 

È quello che accade nella Compagnia degli uomini, commedia dell'inglese Edward Bond (si veda l'intervista qui accanto) che il regista Luca Ronconi mette in scena al Piccolo Teatro di Milano da martedì prossimo al 26 febbraio. «Nel testo prevale una visione apocalittica – ammette Ronconi – che non condivido fino in fondo. Ma la critica di Bond si rivolge a un certo capitalismo e ai suoi aspetti distruttivi, incarnati da Hammond, un imprenditore senza scrupoli interessato solo all'espansione dei propri affari». La forza e la grandezza dell'autore, aggiunge il regista, «risiedono nel suo sguardo, che è rivolto ai personaggi, all'impatto emotivo che i meccanismi economici da loro stessi messi in atto hanno sulle loro vite».

Ronconi non è nuovo ad affrontare temi di economia e finanza a teatro. Nel 2006 firmò la regia di un genere di spettacolo inedito nel panorama italiano, Lo specchio del diavolo, messa in scena di un saggio di storia dell'economia scritto da Giorgio Ruffolo. Fu un successo di critica e pubblico, e lo stesso economista ammette di essere rimasto colpito «per la fedeltà con cui Ronconi ha rappresentato il mio testo. Ha saputo tradurre in immagini il linguaggio astratto dell'economia, dimostrando che il teatro può parlare di argomenti anche molto complessi e tecnici in modo comprensibile e coinvolgente». E senza pregiudizi. Spesso invece, e non solo nel teatro, «prevale la tendenza a sottolineare i lati drammatici del mercato – prosegue Ruffolo –. Certo esistono, ma bisogna evitare le esagerazioni e parlare del capitalismo per quello che è, un meccanismo con molti difetti ma anche un fatto storico che ha reso possibile il progresso civile e sociale dell'Occidente».

Negli ultimi anni in Italia, spiega Claudio Longhi, professore di Storia del teatro allo Iuav di Venezia, «le questioni legate al mondo dell'economia, del lavoro e della finanza hanno interessato soprattutto il teatro cosiddetto di narrazione, da Laura Curino a Marco Paolini, fino ad Ascanio Celestini». Il punto di riferimento teorico, la figura chiave per chiunque voglia parlare di economia a teatro, rimane il tedesco Bertolt Brecht: «nel secondo Novecento la riflessione su capitalismo e teatro passa sempre attraverso lui o il brechtismo, per adesione o per opposizione», conferma Longhi. In generale – come in letteratura – prevale una lettura minimalista, che prende spunto dalla quotidianità e dal vissuto delle persone, unito a un approccio per lo più critico o di denuncia dei disagi causati dal capitalismo. Apparentemente diverso è il caso di Laura Curino, che con i suoi spettacoli su Adriano Olivetti e su Enrico Mattei (Il signore del cane nero è in tournée in questi mesi) ha portato in scena il «volto buono», per così dire, dell'economia di mercato. «Mi piace raccontare le storie di quegli operai, imprenditori, designer o artisti che hanno trasformato e il nostro paese facendo bene le cose – dice l'attrice-drammaturga – per dimostrare che esiste un'alternativa alle degenerazioni degli ultimi anni». La Curino guarda a un capitalismo «di minoranza, che mette al centro ancora la persona e non il profitto puro, slegato persino dal prodotto».
Non diversa è la situazione oltre i confini nazionali. I più attenti al mondo dell'economia e della finanza, dice ancora Claudio Longhi, sono gli autori dei paesi anglosassoni. Edward Bond è solo il caso più eclatante, ma sulle sue orme si sono mossi i cosiddetti «new angry young men», da Sarah Kane a Mark Ravenhill, da Philip Ridley a Simon Stephens. Una generazione che ha avuto forte influenza su tutto il teatro europeo, Italia compresa. Più di recente, ci sono i casi degli inglesi Lucy Prebble – giovanissima autrice di Enron, pièce sul fallimento della multinazionale dell'energia guidata da Jeffrey Skilling – e David Hare, che nel 2009 ha parlato della crisi finanziaria con The Power of Yes, commissionato dal National Theatre di Londra. Questo interesse per fatti di cronaca e attualità non sorprende nella drammaturgia anglosassone, «che da Shakespeare in poi ha sempre concepito il teatro come rappresentazione della società e della contemporaneità», aggiunge Longhi. «Cos'è il teatro se non si occupa della vita di ogni giorno? – si chiede infatti Deb Margolin, che la scorsa estate ha portato nei teatri statunitensi il suo Imagining Madoff –. L'importanza del mondo economico nella quotidianità è profonda e il teatro, come ogni forma di scrittura creativa, ha sempre preso ispirazione dalla realtà». Ma il suo lavoro, precisa, «non si occupa di complicate questioni finanziarie: a me interessano gli effetti dell'indifferenza depravata di un singolo sulla sua umanità e su quella degli altri». La visione critica del mercato è per l'artista americana una scelta puramente drammaturgica: «Esiste sempre un conflitto in un'opera teatrale, altrimenti non ci sarebbe bisogno di scriverla. L'arte serve a indagare le contraddizioni e le angosce che si trovano dentro il capitalismo come in ognuno di noi, non per condannare ma per mettere in luce errori e ingiustizie».

Possibile che non si parli mai bene di mercato e concorrenza sul palcoscenico? «La rappresentazione trionfante del capitalismo a teatro è durata una breve stagione, quella ottocentesca del teatro borghese, che del libero scambio era espressione», spiega Longhi. Mentre oggi il capitalismo si celebra in tv.

giovanna.mancini@ilsole24ore.com

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