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Questo articolo è stato pubblicato il 09 gennaio 2011 alle ore 08:22.
«Quello che noi vogliamo non è un ritorno ai confini del '67, ma che tutto il paese sia restituito ai palestinesi».
È difficile immaginare un programma politico più chiaro e più estremo di questo: nessuna mediazione, nessuna mano tesa, nessun tentennamento. Tanto meno una spartizione della terra tra i due contendenti. Semplicemente, l'orologio della Storia deve tornare indietro di un secolo almeno, con le lancette là dove si trovavano all'inizio del Novecento, quando il sionismo era solo un'utopia irrealizzabile e la Palestina ancora saldamente in mano ai suoi abitanti arabi.
Se vi siete chiesti quale gruppo fondamentalista islamico abbia espresso recentemente una posizione così intransigente, siete sulla strada sbagliata. La frase in apertura è stata pronunciata da un rappresentate ufficiale dei Neturei Karta, i falchi dell'antisionismo religioso militante ebraico. La restituzione incondizionata di tutto Israele ai palestinesi e l'abolizione immediata dell'«entità sionista» è del resto l'obiettivo dichiarato di questo movimento.
Non va dimenticato che la ruggine tra l'ambiente tradizionalista e i sionisti è vecchia quanto il sionismo stesso, anche se si è espressa nel corso dei decenni con voci, motivazioni e accenti diversi. All'inizio, gli scettici e gli avversari erano sicuramente in maggioranza. Poi, dopo la fondazione dello Stato di Israele, la rivoluzione sionista si è consolidata, è divenuta realtà storica concreta, ha mostrato punti di forza e limiti, tanto che si può oggi parlare, anche in Israele, di un post-sionismo in cerca di un propria identità futura.
Un manipolo di ultra-ortodossi, attivo, vociante, colorato, continua però una lotta intransigente, fatta di proclami, manifestazioni di protesta, disobbedienza civile, interventi eclatanti. Le immagini di un gruppo di rabbini, vestiti nelle tradizionali fogge del l'Europa orientale, che s'intrattenevano con Ahmadinejad per discutere della fine del l'usurpazione israeliana in Palestina ha fatto, qualche anno fa, il giro del mondo.
Ma al di là del folklore, le vere motivazioni religiose e la consistenza stessa di questo gruppo rimangono quasi sconosciute. Innanzitutto, quanti sono? Poche dozzine di fanatici, come affermano di solito le fonti israeliane, o centinaia di migliaia, secondo le stime più generose? Una valutazione prudente parla di circa quattrocento famiglie in Israele, concentrate nel quartiere ortodosso di Meah Shearim a Gerusalemme, e di altre centinaia, tra Londra, Brooklyn e il Canada.







