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Io studio da pastore

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Questo articolo è stato pubblicato il 14 gennaio 2011 alle ore 14:57.

C'è chi sogna una laurea in Scienze della enogastronomia mediterranea a Messina e chi un master in Allevamento e benessere animale a Milano per trasformare le cascine della Lomellina in beauty farm: d'altronde a Kobe mica è una novità massaggiare i manzi con guanti di crine, dissetarli a pinte di birra e coccolarli sulle note di Mozart. Troppo sofisticato per gente pragmatica come i baschi, che bada alla pratica più che ai diplomi del magnifico rettore: così è nata nel 1997 la Itsasmendikoi Artzain Eskola. Una scuola per pastori di pecore frequentata da alunni che, un po' da ogni angolo d'Europa, vengono qui nel parco naturale Aizkorri-Aratz per imparare a pascolare, tosare e fare il formaggio. Già, perché in questa zona se ne produce uno davvero squisito, l'Idiazabal, composto da latte di pecora Latxa mischiato con quello delle ovejas Carranzana. Risultato: uno dei prodotti caseari più originali e caratteristici del mondo (1).

Il corso annuale dura sei mesi, e sono sei mesi intensi da passare dentro un'azienda agricola dove le pecore sono il pane quotidiano. Qui nei Paesi Baschi si fidano dell'esperienza diretta, anche se le lezioni in classe e i libroni non mancano. Bisogna impadronirsi di nozioni di botanica delle erbe e dei foraggi, di zootecnica e veterinaria, si deve conoscere l'arte atavica della transumanza, la geografia dei pascoli e dei tratturi, la meteorologia. «Gli studenti si misurano con greggi commerciali e non sperimentali, questo è molto importante — spiega Bautista Otegi, direttore della Eskola —: l'azienda agricola non deve rinunciare agli interessi produttivi ed economici. Non ci sono simulazioni, è tutto vero. Stiamo dando impulso a un mestiere ancestrale applicando procedure e sistemi altamente tecnologici, questo per far sì che il lavoro del mandriano sia allo stesso tempo proficuo e rispettoso dell'ambiente». I ragazzi sono divisi in gruppi da tre e ogni mattina una delle squadre deve prendersi cura degli animali. Intanto gli altri studiano come scegliere il gregge, il territorio più adatto alla pastura e i segreti alchemici per un buon queso. Da sempre vi è una simbiosi tra gli animali e il pastore. Talvolta anche troppo stretta, se qualcuno ricorda Padre padrone.

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Tags Correlati: Bautista Otegi | Carlo Petrini | Cultura | Francesco Pezzini | Il professore | Italia | Josè Ramon Orbegozo | Scienze | Xavier Gamboa

 

Il professore che accompagna gli allievi sul campo si chiama Josè Ramon Orbegozo, un omone di poche parole che nulla ha del cattedratico: insegna a dare da mangiare alle pecore, a curare quelle che hanno problemi alle zampe e a far nascere gli agnellini. Nel giro di due giorni ne abbiamo visti venire alla luce tre, tra gli applausi degli studenti che avevano seguito i momenti del travaglio con la trepidazione di una finale di Coppa del mondo. La maggior parte di loro proviene da famiglie di pastori che sfidano il terzo millennio portando avanti lo stesso mestiere di Titiro, quello che nelle Bucoliche riposava all'ombra di un faggio. Oggi sono passati circa 2.050 anni dagli esametri di Virgilio. «La visione che si ha generalmente dei pastori riguarda il bel tempo antico, un tempo non più riproponibile e molto scomodo – commenta Carlo Petrini, il fondatore di Slow Food – figure umane sentite dall'immaginario popolare come un po' rozze e ignoranti, stridenti con qualsiasi modernità. L'idea dei pastori spagnoli trasmette invece un senso di novità. Sono sicuro che a molti giovani piacerebbe questo lavoro: ma chi l'ha detto che bisogna stare tutto il giorno davanti a un computer?».

Già, sono in parecchi a preferire la scomodità dei monti alla monotonia della scrivania. Per esempio Aitor Itzueta, 17 anni, è l'unico di tre fratelli che seguirà le orme del padre, del nonno e del bisnonno: todos pastores fino alle radici dell'albero genealogico. Xavier Gamboa, 22 anni, viene invece dalla comunità autonoma della Navarra dove suo fratello ha comprato 80 pecore e un capannone. Qui i giovani che ci vogliono provare (ma solo a patto che utilizzino tecniche ecologiche) ricevono sovvenzioni dal governo. Una volta terminato il corso c'è un tutor con il compito di seguire chi avvia un allevamento. I pastores spagnoli hanno anche inventato il turismo della transumanza (2): gruppi di appassionati che pagano fino a 300 euro a testa per seguirli nel viaggio verso Serranias e Sierras, dormire su un pagliericcio e imparare a riconoscere il formaggio doc da quello in offerta 3x2 nei supermarket. Tra gli studenti dell'ateneo della pastorizia c'è anche un italiano, Francesco Pezzini che di mestiere farebbe il ricercatore in Storia all'Università di Pisa. Incarico alquanto precario, e lui lo sa bene. Un giorno vorrebbe acquistare un pezzo di terra in Italia e dedicarsi alle pecore. Nel nostro Paese scuole del genere non ce ne sono, anzi l'unico punto di contatto tra pastori e studenti sono i cortei di protesta. Un mese fa hanno manifestato assieme a Cagliari, Sassari e Nuoro. Lo slogan era: «Il futuro non si tocca».

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