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Questo articolo è stato pubblicato il 16 gennaio 2011 alle ore 08:23.
Immagini cinematografiche: ecco di cosa è disseminato il percorso della mostra «Fare gli Italiani», che verrà inaugurata in pompa magna il 18 marzo a Torino dal capo dello Stato per l'anniversario dei 150 anni dell'Unità d'Italia. «A parte l'archivio fotografico Alinari, le prime testimonianze arrivano dalle pellicole», puntualizza Giovanni De Luna, che quell'itinerario ha contribuito a idearlo, suggerendo titoli come La presa di Roma del 1905 di Filoteo Alberini, storia del paese in sette quadri, con breccia di Porta Pia finale. Lo schermo aiuta a veicolare gusti, a costruire l'identità di popolo: fiero come nel kolossal fiabesco La corona di ferro, diretto da Alessandro Blasetti nel 1941, o aspirante consumista. «Tra il '35 e '40 il cinema è disseminato di marchesi, interni domestici falsi, telefoni bianchi, che instillavano e anticipavano un'idea di consumismo, impensabile sotto il Fascismo», spiega lo studioso.
Per Goffredo Fofi, decano dei critici cinematografici, è Amarcord (1973) di Federico Fellini il film più rappresentativo dell'Italia. «Un capolavoro di antropologia culturale, anche se il pubblico non lo ha amato. Mentre 1860 di Blasetti, Senso di Visconti e Noi credevamo di Martone riescono a raccontare la minoranza cosciente che lotta per creare il paese». Per Fofi il Fascismo si individua nel tessuto sociale di La grande guerra (1959) di Mario Monicelli e in due pellicole di Carlo Lizzani, Cronache di poveri amanti (1953) e Il processo di Verona (1963), mentre le ferite e le umiliazioni della guerra emergono appieno in Roma città aperta di Roberto Rossellini (1945), Estate violenta (1959) di Valerio Zurlini, Tutti a casa (1960) di Luigi Comencini, «che unifica gli italiani del boom in senso antifascista». L'Italia però non è solo storia, ma anche latitudini e longitudini. «I problemi, la povertà e l'immigrazione dal Meridione sono incarnati in modo diverso da Salvatore Giuliano (1962) di Francesco Rosi, Il cammino della speranza (1950) di Pietro Germi, Rocco e i suoi fratelli (1960) di Luchino Visconti. Ma – continua Fofi – fu Divorzio all'italiana (1961) di Germi che nel Mezzogiorno creò entusiasmi e disagi, aprendo la strada all'abolizione del delitto d'onore». La dolce vita di Fellini (1960) e Comizi d'amore di Pier Paolo Pasolini del 1965 fotografano invece una penisola già a suo modo moderna.