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Oscena è la realtà

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Questo articolo è stato pubblicato il 16 gennaio 2011 alle ore 08:21.

Del "cannibale" è rimasto lo sguardo caustico sulla realtà politica italiana. Per il resto, Aldo Nove - l'ex cattivo ragazzo di quella gioventù firmata Einaudi Stile Libero, che diede una scossa alla narrativa degli anni Novanta - è oggi un quarantatreenne che si gode la maturità letteraria. Prova è il suo ultimo lavoro «La vita oscena», uscito a novembre: «Quello che prima era schizofrenia, specializzazione multipla - dagli endecasillabi alla narrativa - con questo libro si è armonizzato: sono contento di essere riuscito a usare aree linguistiche della poesia per fare prosa», racconta in un caffè sui Navigli milanesi, poco distante dallo studio dove ogni giorno sforna idee e provocazioni.

«La vita oscena» è la storia di un ragazzino che perde i genitori a distanza di qualche mese, e si abbandona a un percorso estremo di droga, sesso e solitudine. È la sua storia. «Sono 20 anni che penso a come raccontarla. E poi, all'improvviso, ho messo insieme tutto in un mese e mezzo». Quarantacinque giorni per il libro di una vita. «Ha chiamato mia zia la settimana scorsa per chiedermi se la seconda parte del libro, in cui descrivo avventure sessuali con prostitute, uomini e trans fosse vera. Le ho risposto di no. Mi ha richiamato il giorno dopo dicendo: «"Aldo, sei troppo credibile quando parli del rapporto con il trans, sicuro che non l'hai fatto sul serio?"». La commistione irriverente di registri e contenuti tipica della sua produzione - dove versi nobili si affiancano a dissertazioni sulla bellezza di Monica Bellucci - si ritrova anche in una chiacchierata di metà gennaio.

Aldo Nove è divertente quando afferma che i passanti lo scambiano per Beppe Grillo a causa dello stesso viso paffuto e per li capelli ricci disordinati: «Al supermercato una signora mi inseguiva tra i corridoi, poi ha preso coraggio e mi ha detto: "Io sono con lei signor Grillo, continui così"».
È serio quando parla del valore terapeutico della scrittura, della capacità che hanno le parole di «curare». «Scrivendo "La vita oscena" ho rielaborato la mia vicenda personale: non posso dire di averla risolta perché il percorso è ancora lungo, ma sicuramente sono una persona molto più serena di quella che ero vent'anni fa».

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Tags Correlati: Aldo Nove | Antonio Centanin | Arnaldo Pomodoro | Avetrana | Beppe Grillo | Dada | Einaudi Stile libero | Franco Buffoni | LAmmaniti | LNel | Luisa Brancaccio | Monica Bellucci | Nicola Cro | Nicola Crocetti | Severino Cesari

 

Vent'anni fa, l'Aldo Nove che oggi lavora alla biografia di Arnaldo Pomodoro e pensa alla cena da preparare alla fidanzata («Ieri mi ha stupito con involtini al forno buonissimi ed è scattata la competizione: stasera farò qualcosa di speciale» ), era il giovane Antonio Centanin che aveva perso, insieme ai genitori , l'idea di una vita felice, e si «ribellava contro l'esistenza» con la poesia e lo scandalo. «Non ero solo, i miei maestri Nanni Balestrini, Franco Buffoni, sono diventati con il tempo padri e amici per me». Ma il mondo della poesia, così «autoreferenziale e chiuso» stava stretto allo studente di filosofia morale che di giorno lavorava alla rivista Poesia con il maestro Nicola Crocetti e di sera alternava la lettura di Hegel a quelle della rivista erotica «Le Ore».

Nel 1996 arriva la Gioventù Cannibale «costruita a tavolino» da Severino Cesari e Paolo Repetti. «Hanno avuto la capacità d'intuire che autori diversi stavano lavorando su gli stessi temi : nel giro di un mese, guardando il film "Jack Frusciante è uscito dal gruppo" e leggendo "Rincorse" di Voltolini, capii anch'io che stava succedendo qualcosa. In fondo cosa è lo Zeitgeist, lo spirito del tempo, se non questo? Il movimento Dada è nato contemporaneamente a Zurigo e New York senza alcuna relazione tra i gruppi ...».
Autori come Nove, Niccolò Ammaniti, Luisa Brancaccio realizzano , grazie all'operazione "cannibali", «che stavamo riflettendo, ognuno nella propria casa, sull'atrocità della vita quotidiana, su adolescenti confusi, crudeltà, violenza».

Ammaniti è diventato grande amico di Aldo Nove: «Anche se culturalmente siamo due persone lontane: io sono cresciuto con la tradizione poetica italiana, Niccolò con i grandi romanzieri americani. Mi dice sempre che per lui la poesia si ferma a Pascoli».
L'autore di «Woobinda. E altre storie senza lieto fine» crede che quella gioventù sia stato l'ultimo residuo di opposizione culturale in Italia: «Linguisticamente è così: c' era un approccio formale molto caustico, corrosivo, violento nei confronti della realtà: sapevamo che andava letta in maniera diversa ma anche che, per essere compresa, doveva essere aggredita».

Nasce con i "cannibali" la figura dello scrittore da sbattere su copertine patinate e da invitare in televisione. Nove ricorda la prima volta al Maurizio Costanzo Show: «Non riuscivo a dire una parola, ero impacciato. A un certo punto Maurizio Costanzo mi ha detto "Nove arripigliati!"». Ha imparato tanto da quelle esperienze: «Guardavo dall'interno un meccanismo che stava per diventare soverchiante: la macchina dello spettacolo iniziava allora a conquistare tutto e io volevo capire come».

Nove che celebrava la pornografia in tutte le sue forme, fumando una sigaretta mentre il freddo di Milano fa tremare le mani, ci tiene a dire che non è diventato un «moralista»: «A 15 anni aspettavo la notte per vedere in Tv, su Odeon, le ballerine con le tette di fuori. Oggi è uno spettacolo da sabato pomeriggio e l'ipotesi che il presidente del Consiglio vada a letto con le minorenni è una barzelletta». È l'Italia a essere diventata oscena. «Ormai il godimento nel torbido è un linguaggio comune».

Il contesto italiano ha esaurito anche la possibilità di ispirare storie ai narratori? «Sant'Agostino diceva che nulla che un essere umano può fare o provare non possa essere provato da un altro. Per me l'ispirazione parte sempre dalla compassione o dall'immedesimazione: quando vedo in Tv il fratellino di Sara, la ragazza uccisa ad Avetrana, promuovere il calendario con un "tronista" in memoria della sorella, realizzo che è un piccolo uomo perso nel non - senso della realtà. Io sento chi soffre, anche se la sua sofferenza, come in questo caso, si esprime in maniera grottesca. Ed è lì che può iniziare la narrazione». E la poesia? «La poesia succede. È come fare la pipì: quando ti scappa la fai».
serena.danna@ilsole24ore.com
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