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Tullia Zevi, signora dell'Italia ebraica

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Questo articolo è stato pubblicato il 24 gennaio 2011 alle ore 09:19.

La macchina dei carabinieri di scorta ci aveva lasciato al casello dell'autostrada. A Bertinoro era appena terminato un convegno su Ovadiah Yare, che nel Quattrocento era partito proprio da quella cittadina romagnola per recarsi in Umbria, e da qui in Terrasanta. Tullia Zevi – che ieri è morta a Roma all'età di 92 anni – aveva inaugurato i lavori con un discorso breve ma non di circostanza, di cui ricordo ancora la conclusione: «L'idea di commemorare il maestro e viaggiatore dopo sei secoli, onora il carattere tollerante, pluralista e geniale della civiltà italiana». Per tornare a Roma, Tullia Zevi doveva prendere un treno da Bologna, e io mi ero offerto di accompagnarla in macchina. Ero ben contento di avere modo di chiacchierare con lei per un paio d'ore. A un giovane e inesperto studioso, quale ero allora, non capitava certo tutti i giorni di poter parlare con la Presidente dell'Unione Comunità Ebraiche a tu per tu, e per così tanto tempo.
Era il maggio 1988. Mi aspettavo che si parlasse di ricerche storiche, e invece vennero fuori una serie di episodi della sua vita, gli studi di musica, il periodo trascorso a Ginevra e poi qualche dettaglio sui suoi anni negli Stati Uniti, un modo diretto e affascinante di disegnare un profilo ebraico.
Al di là della sobrietà dei suoi modi, che tutti conoscevano, è proprio questa la testimonianza che mi colpì maggiormente allora e continuai poi ad ammirare nella Zevi negli anni successivi: il suo percorso esistenziale, segnato dall'antifascismo del padre e dall'emigrazione dopo il 1938, riassumeva in sé il cosmopolitismo, l'apertura intellettuale e il desiderio, dopo la guerra, di ritrovare un posto nella società italiana. Nel suo orgoglio di essere ebrea e italiana c'era forse un idealismo un po' fuori moda, ma anche il patrimonio di esperienze e di apertura internazionale proprio della borghesia ebraica illuminata del Novecento. Durante quel viaggio non riuscii a raccontare alla Zevi nessuno dei miei progetti ma piuttosto imparai da lei che le esperienze di spaesamento, com'era stata la sua durante gli anni all'estero, possono servire a rinsaldare il senso di appartenenza.

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Tags Correlati: Cultura | Italia | Ovadiah Yare | Tullia Zevi | Ufficio Centrale per l'Emigrazione Italiana | Unione Comunità Ebraiche

 

Nel periodo della sua presidenza all'Ucei, Tullia Zevi fece molto per difendere il patrimonio culturale del giudaismo italiano, cercando soprattutto di organizzare istituzioni di tutela e memoria, come il centro bibliografico, dove volle concentrare oltre trentamila volumi, tra libri antichi, rari manoscritti e archivi di personalità di rilievo. Per molti sono solo vecchie carte – mi disse una volta – ma a me sembra che anche se uno solo di questi libri viene venduto o smarrito, è come se un pezzo del nostro passato andasse in frantumi. Con molto decoro e molta intelligenza, Tullia Zevi aveva investito le sue migliori energie per far sì che la vecchia anima del l'ebraismo italiano non solo non andasse in frantumi, ma fosse all'altezza del proprio splendido passato.
La sua scomparsa è un lutto gravissimo per l'ebraismo italiano. Come ha bene espresso ieri il presidente Napolitano: ha permesso a tutti noi «di apprezzare profondamente la sua limpida e ferma consapevolezza storica e posizione ideale, l'alto impegno civile e la squisita umanità e cultura».

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