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Vento di primavera, la Shoah vista dai piccoli ebrei del quartiere parigino di Montmatre

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Questo articolo è stato pubblicato il 27 gennaio 2011 alle ore 08:42.

Su Domenica 23 gennaio del Sole 24 ore Anna Foa in un bellissimo articolo ragionava sull' "ipertrofia della memoria" in relazione al moltiplicarsi degli eventi per il 27 gennaio, Giorno della Memoria, in cui si rende onore alle vittime del Nazifascismo e della Shoah. Foa parlava di «necessità di un ripensamento o meglio di un approfondimento, non certo sulla necessità o meno di ricordare, ma sul senso da dare a questa memoria…». Una risposta adeguata la dà il film di Rose Bosh, "Vento di Primavera", da oggi nelle sale italiane.

Il film di Bosh, che racconta la deportazione degli ebrei del quartiere parigino di Montmatre, avvenuta nell'estate del '42, ha avuto un successo incredibile in Francia. Tre milioni sono stati gli ingressi, cifre a cui ambiscono oltralpe solo commedie particolarmente riuscite. «I fatti raccontati in questo film sono realmente accaduti, anche i più efferati e inverosimili» recita all'incirca una scritta prima che la storia abbia il suo inizio. La verità è che "Vento di primavera" con un abile regia mostra la Shoah sotto il metro di altezza, con gli occhi cioè dei bambini che l'hanno vissuta. La regista non eccede in nulla, perché i fatti sono già crudi, per cui non c'è necessità di ricorrere all'esagerazione, né indugiare nella ferocia. Bosh semplicemente sceglie la strada dei sentimenti dei bambini, che, agendo d'istinto, non sanno spiegarsi il perché di tanta insensatezza. E con loro nemmeno il pubblico, che si immedesima perfettamente nello stupore infantile. Prima di venire rastrellati nei poveri condomini in cui vivono, due dei protagonisti, Jo Weismann (Hugo Leverdez), biondissimo e bellissimo decenne scherza con l'amico fraterno Simon Zygler (Oliver Cyvier) sul mito dell'aspetto ebraico, naso adunco e viso pallido, dimostrando entrambi di negare con il proprio aspetto le assurde teorie fisiognomiche hitleriane. Quando vengono ammassati in 10mila nel velodromo d'inverno, senza acqua, senza latrine funzionanti e con pochissimo cibo, la loro reazione è quella di correre e giocare nello scivolo di legno dove corrono le biciclette, facendo imbestialire le guardie con scherzi continui. Lì operano il medico ebreo David Sheinbaum (un magnifico Jean Reno) e la crocerossina, cristiana Anette, la Mélanie Laurent di "Bastardi senza Gloria e di "Il concerto". Anette è l'esempio che non tutti i francesi erano conniventi con il programma di sterminio nazista, molti avevano reagito aiutandoli, molti agivano sotto costrizione, pochi, pochissimi erano contenti.

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Tags Correlati: Cultura | David Sheinbaum | Einaudi | Hugo Leverdez | Jean Reno | Jose Pirjavec | Jo Weismann | Randa | Rose Bosh | Simon Zygler |

 

La fine dei bambini ebrei la conosciamo dai libri di storia, ma forse per pudore non eravamo entrati nei loro sentimenti non ci eravamo forse immaginati cosa volle dire per quei piccoli essere separati dai propri genitori, e salire ingenuamente sui vagoni piombati. Sotto il nazifascismo poco si sapeva, oggi si sa tutto, ma è tutto lontano. Per rendere più vicina quella incredibile tragedia basterebbe ricordare che genocidi si sono compiuti e si compiono anche al giorno d'oggi e più vicino a casa nostra di quanto crediamo. Basterebbe leggere alcuni libri di storia recentissima, ad esempio Jose Pirjavec "Le guerre Jugoslave. 1991-1999" (Einaudi 2006), la cui prima edizione aveva in copertina uno dei tanti prigionieri dei campi di concentramento, vittime di una pulizia etnica, avvenuta dieci anni fa. E Belgrado dista da Trieste tre ore di macchina. Daniele Scaglione ha da poco pubblicato con Infinito "Randa. Istruzioni per un genocidio". Honoré Gatera, ha 30 anni scarsi, è il capo delle guide del Kigali Memorial Center ed è uno dei sopravvissuti al massacro tra gli Hutu e Tutsi, avvenuto in Randa nel'94, dove in poco più di tre mesi fu trucidato un milione di persone. Gatera gira il mondo per testimoniare ciò che ha visto.

L'orrore cambia colore ma non forme di esercizio. Perché la Shoah non si ripeta più, forse sarebbe utile raccontare ai bambini anche quello che è successo a persone che hanno l'età dei loro cugini più grandi.

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