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Questo articolo è stato pubblicato il 30 gennaio 2011 alle ore 08:24.
In copertina del numero di gennaio dei gloriosi «Cahiers du cinéma» campeggia non l'immagine di un film, ma quattro ritratti realizzati dal celebre fumettista Floc'h. I ritratti, realizzati in puro stile ligne claire (la gloriosa tradizione dei fumetti d'oltralpe, limpidi e senza chiaroscuri) ritraggono i quattro registi «più attesi del 2011». Due di loro, Martin Scorsese e Steven Spielberg, traggono ispirazione dal mondo dei fumetti e del romanzo illustrato.
Il super-americano Spielberg, adatterà a sorpresa proprio il capostipite della ligne claire, ossia il Tintin di Hergé. Del resto, l'immaginario del regista si è sempre nutrito di fumetti d'avventura, visti come appendice e doppio di Hollywood: dietro Indiana Jones ci sono anche i fumetti di Tim Tyler's Luck, meglio noti da noi come Cino e Franco. Il film di Scorsese invece è tratto da un libro affascinante, La straordinaria invenzione di Hugo Cabret di Brian Selznick (Mondadori). Non proprio un romanzo a fumetti, piuttosto un misto di testo e illustrazione che si alternano su pagine separate passandosi il filo del racconto, quasi già un film su carta. La storia di un ragazzino che vive nascosto tra gli ingranaggi del grande orologio della stazione di Montparnasse, negli anni 30 del secolo scorso.
Siamo dunque lontani dalla semplice sinergia tra film e fumetti espressa dai vari blockbuster con supereroi (che pure proliferano: è appena uscito Green Hornet, diretto da Michel Gondry). Da tempo i festival di Cannes hanno sancito il trionfo del "cinefumetto d'autore", con Persepolis e Valzer con Bashir, fino all'ultimo Tamara Drewe, uscito in queste settimane in Italia e tratto da un fumetto satirico assai colto, pubblicato a puntate sul «Guardian» e poi raccolto in volume (in Italia lo ha appena pubblicato nottetempo)
La forza del graphic novel, si può ipotizzare, è nella sua doppia possibilità di essere radicale: facendosi diario intimo, veloce, preciso, e allargandosi a momenti di visionarietà massimalista, apocalittica, come il cinema non può più permettersi. E quello che sembrava un genere monco, anfibio nei casi migliori, finisce per sommare in sé i vantaggi della narrativa e del cinema. Negli Usa, poi, questo riporta a una tradizione nazionale, elegiaca e mitica. Per cui, seguendo la classica distinzione, sarebbe più esatto parlare di graphic romance che di graphic novel. Ma la coincidenza tra cinema americano e fumetto d'autore va ben oltre i singoli incontri. È, diremmo, una comunanza quasi generazionale di immaginario, che fa cogliere intense somiglianze di famiglia. Non a caso, molti film indipendenti degli ultimi anni si offrono al pubblico in manifesti a fumetti, come American Life, o La famiglia Savage, il cui poster è disegnato da Chris Ware, uno dei nomi di culto del graphic novel recente. I registi fanno i conti con un "mondo a fumetti" che tocca Tarantino come Todd Solondz, e che ha anche i suoi lati oscuri: come racconta il recente Super di James Gunn (in uscita negli Usa ad aprile), in cui un tizio mollato dalla moglie decide di trasformarsi in supereroe, con esiti surreali e truculenti.