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Divora Buffet e studia Smith la nuova Cina

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Questo articolo è stato pubblicato il 30 gennaio 2011 alle ore 08:20.

Rilegato, con la copertina rigida, i caratteri in oro e un titolo da testo filosofico antico, Guo fu lun, (letteralmente: Teoria sulla ricchezza delle nazioni) il volumone di quasi mille pagine del padre degli economisti moderni Adam Smith si trova in tutte le librerie cinesi che si rispettino, in inglese, cinese o versione bilingue per chi vuole migliorare l'idioma straniero.
Lui, più di Ricardo e anche più di Marx, è oggi il punto di riferimento originale del passato da cui tutto è cominciato, cioè il mercato moderno e le idee portanti che guidano ancora il processo di riforme economiche della Cina attuale. Per i cinesi, che sono pragmatici e storicisti, bisogna inziare da lui per leggere il presente e progettare il futuro. Eppure un tempo non era proprio così. La riscoperta del capitalismo moderno, arrivato negli anni 80 quando le riforme economiche furono lanciate, camminò sulle spalle di Friedrich August von Hayek, nato e cresciuto dopo Marx e quindi non criticato direttamente dai testi sacri dell'economia leninista.
Gli anni 80 furono un periodo entusiasmante per i giovani intellettuali cinesi, perché si passò in pochissimi anni da scaffali vuoti di testi stranieri a una inflazione di titoli, spesso assemblati con grande confusione. Ma tra quei titoli allora spiccava Individualismo e ordine economico di Hayek appunto. I suoi acidi riferimenti al totalitarismo comunista venivano pudicamente commentati con note a piè di pagina che spiegavano: «L'autore si riferisce al sistema stalinista».
Il suo pensiero era in linea con le speranze di molti: l'economia libera come base di una politica libera, due principi che sembravano andare mano nella mano. L'idea piaceva e poi era coerente con il concetto di legame tra struttura e sovrastruttura dei testi marxisti su cui i lettori cinesi si formavano. Inoltre il suo concetto di un ordine spontaneo che avrebbe potuto regolare i prezzi se il mercato fosse stato lasciato a se stesso aveva eco taoiste, sembrava Laozi, in cui il «non agire» era l'azione migliore. Questa idea poi di liberare il mercato, che avrebbe così funzionato meglio, era anche coerente con le politiche allora in voga nel paese modello della modernità, gli Stati Uniti presieduti al tempo da Reagan.

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Questi a sua volta era circondato da una coorte di consiglieri monetaristi della scuola di Chicago. Tra loro spiccava Milton Friedman, a cui persino l'allora premier Zhao Ziyang si rivolse per chiedere consiglio sulle riforme da attuare. Gli uomini di Chicago raccomandarono un "terapia shock" per il mercato cinese. La ricetta venne testata nell'estate del 1988, ma non funzionò.
I vecchi economisti di stampo sovietico tentarono di suggerire un ritorno alla pianificazione, ma il contemporaneo crollo dell'Urss provava che non c'era modo di tornare al passato.
Quindi dagli inizi degli anni 90 fu la volta di Keynes, arrivato su suggerimento dei partiti socialdemocratici dell'Europa occidentale e anche dell'amministrazione, ora democratica, di Clinton negli Stati Uniti. Anche qui il suo Trattato sulla moneta è stato forse più studiato della sua Teoria generale su impiego, interesse e denaro.
Il principio dell'intervento ponderato dello stato nell'economia, come regolatore del mercato, fu particolarmente importante tra il 1993 e il 1995, quando l'allora vice premier Zhu Rongji, veterano del dipartimento di Economia industriale dell'Accademia delle scienze sociali, prese in mano le redini dellafinanza.
In quel momento Zhu riformò tutto il sistema bancario cinese, dividendo le competenze tra banca centrale, banche commerciali e «policy banks», banche che avrebbero esteso i prestiti di aiuto dello Stato. Il piano era di arrivare a una piena convertibilità dello yuan nell'anno 2000.
La riforma arrivò appena in tempo perché il paese potesse affrontare e resistere la crisi finanziaria che nel 1997 e nel 1998 travolse il resto dell'Asia. Allora la pressione sulla Cina era per la svalutazione della sua moneta, lo yuan. La resistenza cinese in quel momento fermò l'onda d'urto delle svalutazioni competitive nella regione e formò un argine in Asia.
La crisi comunque mostrò alla Cina un nuovo aspetto dell'economia: il suo grande valore direttamente strategico-militare. Attraverso un attacco ai mercati, alla moneta, si potevano travolgere interi paesi come e peggio che attraverso un intervento militare. I piani di una piena convertibilità dello yuan vennero messi in soffitta e i cinesi riscoprirono il valore dell'antico stratega Sunzi, in versione economica e commerciale, come già avevano fatto i giapponesi dagli anni 70 e 80.
Scoprirono poi le opere di Soros, non solo brillante generale dei mercati finanziari, ma anche teorico della finanza e della libertà in generale. Il suo Crisi del capitalismo globale: la società aperta in pericolo, uscito contemporaneamente alla crisi finanziaria asiatica, sembrava un commento alle sue stesse azioni in Asia oppure voleva anche portare avanti una sua strategia contro la Cina, società chiusa? Nel dubbio, gli intellettuali cinesi rispolverarono anche il portato storico delle teorie monetariste, messe da parte per un po'. In questo furono confortati dall'arrivo di Robert Mundell, in Cina per una serie di lezioni prima del suo Nobel nel 1999.
Mundell aveva anche il vantaggio di riconciliarsi con l'influenza liberale di Hayek, con i monetaristi di Chicago e quindi di tracciare un solco profondo di continuità nella logica economica degli intellettuali cinesi. Era, in altre parole, più comprensibile e digeribile per i decisori dell'economia di Pechino, che avevano già subito tanta influenza precedente in questo senso.
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Da una parte iniziò allora l'enorme influenza di Mundell in Cina, come padre dell'euro (scelta economica con grandi conseguenze politiche) e anche per la sua preferenza per i cambi fissi. In tal senso contribuirono anche l'Istituto di cultura italiano, con una conferenza organizzata da Francesco Giavazzi insieme al centro di ricerche del Consiglio di Stato (presidenza del Consiglio) cinese e il fondo sovrano di Singapore, Gic, che organizzò seminari di alto livello con lo stesso Giavazzi e l'attuale economista capo del Fondo monetario internazionale, Olivier Blanchard. I due furono i primi che a metà del decennio scorso posero con grande forza intellettuale la questione della rivalutazione dello yuan. Insieme alla macro-economia, la crisi finanziaria del '97 portò alla ribalta anche gli eroi della nuova economia americana, personaggi come il fondatore di Microsoft Bill Gates, la cui biografia in mille versioni fu un best-seller. E diede fama forse imperitura alle analisi del mercato di Warren Buffett. È lui oggi il nume, il faro, degli investitori cinesi, che stanno vivendo una stagione di esplosione di fondi di Private Equity. Per tutti loro la lettura del volume di Buffet Snowball vale più della bibbia del partito.
Questi fondi di investimento e la "buffettizzazione" dell'economia cinese possono essere un elemento di lungo termine per la trasformazione del sistema finanziario ed economico di qui infatti.
Lo Stato non ha intenzione di lasciare il controllo massiccio delle banche e del sistema finanziario in genere, anche perché da esso dipende tanto del sistema industriale nazionale.
Ma se i fondi di investimento riescono ad avere una funzione di grande supplenza nell'allocazione del credito, rispetto ai prestiti bancari, la situazione potrebbe cambiare a livello di sistema finanziario complessivo. La scommessa per il governo è senza grandi rischi, perché i fondi raccolgono denaro di privati che se vanno a male perdono in proprio senza troppo urtare il sistema finanziario complessivo. Le banche pubbliche che fanno un investimento sbagliato verso un privato, invece, perdono soldi pubblici e possono sempre essere sospettate di gioco sporco: un funzionario si è fatto pagare per concedere un prestito andato a male?
In teoria è possibile che in Cina i fondi possano crescere di potere e influenza, se gestiti bene, fino a rimpiazzare le parti più arretrate e conservatrici del sistema finanziario attuale. In questo senso l'influenza di Buffett potrebbe passare dalla micro economia alla macro, e diventare allora una continuazione delle riforme che l'ex premier Zhu lanciò circa 15 anni fa.
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580
Case editrici
Numero di case
editrici presenti
ufficialmente
in Cina nel 2009.
Nel 2006 erano 573
301mila
Pubblicazioni
I titoli pubblicati
in Cina nel 2009
sono stati 301.719
(di cui 106mila
novità)
7 miliardi
Copie stampate
Numero di nuovi
libri stampati in
Cina nel 2009:
oltre 56 miliardi,
invece, le riedizioni

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