Questo articolo è stato pubblicato il 30 gennaio 2011 alle ore 08:24.
«Der Mensch ist was er isst»: questa frase, assonante in tedesco, scritta dal filosofo Feuerbach sulla rivista «Blätter für literarische Unterhaltung» del 12 novembre 1850, sarebbe presto divenuta una sorta di vessillo del materialismo. Che l'uomo sia ciò che mangia in verità è passibile, però, di un'altra interpretazione, dato che il cibo in tutte le culture è anche un simbolo di comunione nella gioia (si pensi alle parabole nuziali di Gesù che comprendono un banchetto), nel dolore («mangiare il pane del lutto» è una nota locuzione biblica, e i pasti funebri sono ancor oggi praticati in molte nazioni), nell'ospitalità (basti leggere la deliziosa scenetta narrativa di Abramo che accoglie i tre ospiti ignoti nel capitolo 18 della Genesi). Aveva ragione il magistrato francese Anthelme Brillat-Savarin quando osservava nella sua celebre Fisiologia del gusto (1825) che «gli animali si nutrono, l'uomo mangia, l'uomo di spirito pranza».
Se ci avviassimo sulla strada della simbologia religiosa del cibo, dovremmo, in pratica, allestire un intero orizzonte metaforico: c'è il banchetto pasquale esodico, quello liturgico dei «sacrifici di comunione» nel tempio con le carni immolate, c'è il banchetto messianico ed escatologico, segno di pienezza e di gioia, c'è quello sapienziale di stampo etico (si legga il capitolo 9 dei Proverbi) e c'è la cena eucaristica di Cristo, per non parlare poi della morale raffigurata proprio in apertura alla Bibbia con l'immagine di un frutto «buono da mangiare, gradevole agli occhi e desiderabile», quello dell'albero della conoscenza del bene e del male (Genesi 3,6). Noi ora ci accontenteremo solo di porre su un'ideale tavola due cibi molto semplici: il pane e il vino. Paul Claudel nel suo Annunzio a Maria scriveva: «Interroga la vecchia terra, ti risponderà col pane e col vino». Essi sono gli archetipi dell'alimentazione, tant'è vero che in ebraico lehem, «pane», ha la stessa radice del vocabolo che indica la «guerra», proprio perché si tratta di una conquista primaria dell'esistenza.
Naturalmente la nostra lettura avrà un taglio simbolico cristiano. Osserviamo innanzitutto che i pranzi hanno un rilievo curioso all'interno della storia di Gesù. Egli, infatti, accetta spesso di sedere a mensa, senza badare molto alle persone che lo invitano: una volta è un fariseo ad averlo come ospite, altre volte è un pubblicano come Zaccheo o Matteo. Anzi, a un certo momento si mormorerà di lui: «Costui riceve i peccatori e mangia con loro» (Luca 15, 2). Inoltre Gesù ama usare il simbolo del banchetto, soprattutto nuziale, per parlare del Regno di Dio: si pensi alla parabola degli invitati a nozze (Matteo 22, 1-14) o a quella delle vergini stolte e prudenti (Matteo 25, 1-13). Si arriverà persino a dire che egli è «un mangione e beone, amico dei pubblicani e dei peccatori», in contrasto con l'ascetico comportamento del Battista «che non mangia pane e non beve vino» (Luca 7, 33-34).