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Questo articolo è stato pubblicato il 02 febbraio 2011 alle ore 20:16.
"Parlare della propria tribù". E' questo il mantra che si agita nella mente di Nan Goldin, quando - macchina fotografica alla mano - cerca di fissare il mondo che la circonda nella speranza di salvarlo dal tempo che acciuffa e divora tutto. E se il suo mondo è composto prevalentemente da Drag Queens, travestiti e individui scivolati nel tunnel dell'Aids o della droga, allora la sua fotografia avrà inevitabilmente il sapore amaro e crudo del sottosuolo di una metropoli palpitante.
Così è stato per i lavori che l'hanno resa celebre (primo fra tutti "The Ballad of Sexual Dependency"), così è ancora per gli scatti inediti che fino al 28 marzo sono in mostra presso la Berlinische Galerie di Berlino (www.berlinischegalerie.de). Ottanta fotografie, relative al periodo in cui l'artista americana ha vissuto nella metropoli tedesca, dal 1984 al 2009, imprigionano l'anima di una città, attraverso gli sguardi di chi in breve tempo ha saputo creare un legame forte e viscerale con Nan Goldin.
Trasferitasi a Berlino per il programma artistico DAAD e bisognosa di lasciarsi alle spalle la distruttiva relazione con Brian (la foto "Nan one month after being battered" del 1984 documenta con precisione gli effetti del loro legame violento e insano), Nan vive nella città tedesca un momento sereno - "il più felice della mia vita" dirà -, dedicandosi alla fotografia e all'arte. Lo testimonia questa mostra, che documenta sia gli attimi trascorsi con amici e conoscenti (da Tilda Swinton a Blixa Bargeld, leader del gruppo degli Einstürzende Neubauten), sia le pause di solitine di una donna che è pronta ricominciare una nuova vita. Come "Self-Portait in my Blue Bathroom", del 1991, da cui prende il via l'idea dell'esposizione. Questo lavoro che ci restituisce lo sguardo di Nan, attraverso lo specchio della stanza da bagno, appartiene, infatti, alla collezione della Berlinische Galerie. Quando Thomas Köhler, il direttore della Galleria, la scopre fra gli archivi, decide che è un buon motivo per iniziare a interrogarsi sul periodo berlinese della fotografa nata a Washington. Ecco dunque una carrellata di immagini che imprigionano le atmosfere di locali notturni, bar, parchi dove i volti della sua tribù sfilano silenziosi, sotto lo sguardo di un'artista che da sempre dosa con abilità voyeurismo, disincanto e sincera partecipazione emotiva con chi sta per essere ritratto.