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Questo articolo è stato pubblicato il 04 febbraio 2011 alle ore 18:54.

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Dopo i fuochi d'artificio, per incassi e non solo, di inizio anno, ecco arrivare un'altra commedia italiana di sicuro successo (Femmine contro maschi, secondo e ultimo capitolo del dittico che aveva visto Maschi contro femmine come prima remunerativa parte, con i suoi 14 milioni e più al box office) e un venerdì in sordina. Con il cinema d'autore difeso da Mike Leigh, osannato a Cannes per Another Year, buon film ma sopravvalutato. Chiudono il poker del fine settimana Jack Black, che vedremo in 3D ne I fantastici viaggi di Gulliver e Alejandro Gonzales Inarritu con Biutiful, che ha raccolto due nomination agli Oscar, per il miglior film in lingua straniera e per il miglior protagonista maschile.

Fausto Brizzi chiude, forse, la prima fortunata era della sua carriera, iniziata con Notte prima degli esami e proseguita ora con la coralità episodica dell'amore per tutte le età: da Ex a Maschi contro Femmine fino a Femmine contro maschi. Se il primo era il migliore e più completo - scadeva, ma neanche troppo, solo nell'episodio con Cristiana Capotondi - il dittico dell'eterna lotta tra i due sessi è invece un abile ma esile pamphlet che scatena i luoghi comuni da una parte e dall'altra, sfogando il lato oscuro dei pregiudizi e degli amori senza limitarsi. In questo caso a un episodio fiacchissimo come quello di Bisio e Brilli - che pure si impegnano, insieme a una sorprendente Wilma De Angelis - si alterna l'ottima coppia Solfrizzi calciofilo e Littizzetto melomane, e il discontinuo racconto di Ficarra e Picone beatlesmaniaci che citano addirittura Abbey Road. La comicità è quella efficace e garbata, ma anche sempre maliziosa dello stile Brizzi, che sembra comunque pronto a un salto di qualità. Si evidenziano, infatti, inevitabili ripetizioni e schemi un po' troppo consumati, l'esordiente del folgorante Notte prima degli esami, ormai puntata sicura per i produttori (provate a trovare un suo film che non faccia incassi a 8 cifre), ha molte frecce al suo arco. E forse, in questo caso, se n'è conservata qualcuna per il futuro.

Una certa tendenza alla ripetizione, anche se i critici più innamorati non lo ammetteranno mai, c'è anche in Mike Leigh. L'umanissima favola di Tom e Gerri - e già, si chiamano proprio così ma non giocano al gatto col topo - è il racconto di un anno, Another year appunto, diviso in quattro stagioni che sono anche gli "atti" che scandiscono il film. Attorno a questa coppia matura e innamorata, divertita e divertente, giostra un piccolo mondo buffo e un po' emarginato, dall'amico obeso e depresso di lui alla collega ubriacona di lei. Dal figlio furbetto al fratello indurito dalla vita e dal dolore. C'è dolcezza e lucidità nello sguardo di Leigh, oltre che una sapienza narrativa e visiva che mixano esperienza e talento con efficacia. C'è anche, però, in questo delicato ritratto di coppia (e dintorni) una tendenza alla ripetizione che spesso sfiora la noia, salvata da sorrisi complici e compassionevoli. Leigh si crogiola nella sua idea e in questo mènage a volte va col pilota automatico e il film sembra non decollare. Ma rimane comunque l'opera di un autore con i fiocchi che ha capito, una volta di più, come conquistare appassionati e addetti ai lavori.

Cinematograficamente imbarazzante ma, nonostante questo, inevitabilmente divertente I fantastici viaggi di Gulliver. Colonna sonora rock-pop irresistibile - con derive da musical in almeno un paio di scene madri -, un 3D che risulta ancora più impietoso con quell'attore di peso che è Jack Black. Il romanzo originario viene ovviamente tradito con grande spensieratezza e Lilliput diventa il luogo in cui un piccolo uomo può diventare un gigante. In tutti i sensi. Romanzo di formazione che punta sulla comicità naturale di Black, film sempliciotto, è sostanzialmente ingiudicabile criticamente. Si disinteressa volutamente della minima grammatica creativa e cinematografica per puntare alla risata dello spettatore. E così vedrete un brutto film ma difficilmente uscirete annoiati.

Si chiudono i giochi con Biutiful. Osannato in America (Bardem e il film hanno avuto nomination come miglior protagonista e miglior film straniero sia ai Golden Globe che agli Oscar), in Europa ha suscitato reazioni differenti e ha diviso. Forse perché parliamo del miglior regista della sua generazione, il messicano Alejandro Gonzales Inarritu e del suo film peggiore. Che comunque rimane migliori di molte opere di tanti altri suoi colleghi. Il suo occhio visionario e originale, infatti, ci consente di guardare una Barcellona "cattiva" e cupa che non conoscevamo, e ci mette di fronte a un antieroe tragico con la violenza e la bellezza che il cineasta sa dare alle immagini. Purtroppo, però, si sente terribilmente la mancanza di Guillermo Arriaga alla sceneggiatura. L'uomo che, litigandoci a morte, sapeva limitarlo e incanalarlo ha scelto di diventare un (mediocre) regista, e Inarritu si è rivelato uno scarso sceneggiatore. Biutiful è un film scritto con sconclusionata tendenza al colpo di scena. Uxbal (Bardem, premiato a Cannes insieme a Elio Germano) è un uomo che sta morendo. Fuori e dentro. La sua vita è tutta sbagliata, ma vuole chiuderla nel modo giusto. Ma una sfortuna che ha qualcosa di trascendente finirà per mettergli i bastoni tra le ruote costantemente. Talmente tanto che il film, drammatico, finisce per diventare (almeno per i più cinici) tragicomico. Javier Bardem, comunque, vale da solo il prezzo del biglietto. È lui a tenere il film sulle spalle anche nei momenti più improbabili, con lo sguardo profondamente umano e la sua faccia storta.

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