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Cultura-Domenica Arte

1 - 3 - Il City Park di Foster al voto dei cittadini

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Questo articolo è stato pubblicato il 06 febbraio 2011 alle ore 08:21.

La davano per spacciata. Ridotta da internet al fantasma di se stessa: non più strade ma una rete di bit; invece delle piazze agorà telematiche e un semplice desk per generare l'effetto casa. In realtà, poco più di dieci anni dalle apocalittiche profezie delle cassandre digitali, la città non solo non è morta, ma cresce e si sviluppa secondo nuove strategie, utilizzando magari proprio gli strumenti dell'informatica e dei social network per migliorare le sue prestazioni e costruire un modello di partecipazione.
A Hong Kong, da alcuni decenni, l'area di West Kowloon è una striscia di terra strappata al mare. Circa 40 ettari di suolo compreso tra la Canton Road e il Victoria Harbour, per il quale il governo ha stanziato un investimento di più di 21 bilioni di dollari per la creazione di un distretto culturale capace di riconvertire la fama di Hong Kong da capitale finanziaria dell'area asiatica in quella di hub dell'intrattenimento colto, dell'arte, del tempo libero, secondo il modello corrente delle città del XXI secolo.
Forse non è un caso che l'esempio più interessante da questo punto di vista provenga ancora dall'Est, nello specifico da quel Medio Oriente tanto mitizzato per le performances della barocca capitale dei petrodollari Dubai, sul quale tuttavia i vicini emirati del Qatar e di Abu Dabi stanno tentando la carta di uno sviluppo più complesso. Come a Masdar, ad esempio, la città-frontiera dell'urbanistica eco-compatibile, disegnata ex novo da Norman Foster come una Sabbioneta tecnologica nel deserto. Possiamo valutarla come un illuminante soprassalto di consapevolezza del cambiamento o anche come una astuta strategia di diversificazione degli investimenti: sta di fatto che la futura rete di musei del Qatar o la prima città "carbon free" quale è Masdar sono il segno che l'investimento immobiliare in sé non è più attrattivo, a meno di non essere diversificato e in grado di proporre una visione seducente e complessa della città.
E infatti, per sviluppare il programma della futura Hong Kong, qualche anno fa è stato creato il West Kowloon Cultural District Authority, un organismo con il compito di istruire e gestire le pratiche di un concorso internazionale che nel 2006 è stato vinto dallo studio Foster, già famoso nell'ex-colonia inglese per l'ipertecnologico grattacielo della HongKong&Shangai Bank, ultimo Landmark della madrepatria prima della cessione del 30 giugno 1997.

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Tags Correlati: Abu Dabi | Arte | Autorithy | Harbour | Medio Oriente | Norman Foster | Rem Koolhaas | Rocco Design Architects

 

La sua proposta di Foster, incentrata sull'invenzione di una grande "tettoia" destinata a ospitare le attività culturali e pubbliche, ha suscitato molte perplessità e molte resistenze da parte degli imprenditori locali. Motivi? Di fatto, con quel progetto l'area veniva sottratta alla possibilità d'essere usata fuori delle regole di un piano generale.
La questione è stata rilanciata nel 2010 con un nuovo concorso dal quale sono state selezionate tre proposte: un «City Park» di Foster e Partners; un «Cultural Connect» dello studio locale Rocco Design Architects e un «Project for a new Dimension» dell'olandese Oma, capitanato da Rem Koolhaas.
Una mostra all'Hong Kong Exhibition Centre ha permesso ai cittadini di entrare nel merito dei tre progetti, di valutarne personalmente l'impatto e di misurarne il gradimento attraverso la compilazione di un questionario. L'Autorithy ha messo a disposizione anche un sito dove sono scaricabili i singoli progetti e i pareri espressi dalla comunità con le risposte tratte dai questionari e quelle giunte direttamente via facebook, secondo un'inedita forma di urbanistica partecipata.
Diversamente dal recente passato, quando si esaltava la velocità dell'architettura nel rispondere quasi in tempo reale alle aspettative suscitate dai concorsi, a Hong Kong si è deciso di procedere con la dovuta cautela, verificando l'impatto di ciascun progetto e la sua fattibilità economica, al di là delle dichiarazioni degli autori. A garanzia della tenuta unitaria del progetto, il governo ha annunciato di volere un solo interlocutore per l'esecuzione e lo sviluppo del progetto, in modo da non frazionare le unità di lavoro e mantenere un controllo centrale sulla qualità, sui tempi e sui fini dell'operazione.
«Lo sviluppo del nuovo distretto culturale e la creazione di nuovi posti di lavoro grazie al progetto – hanno dichiarato le autorità – non si materializzeranno né a breve né a medio termine».
La posta in gioco d'altra parte è alta e giustifica la prudenza, soprattutto di fronte ai miracoli promessi dalla tecnica dei renderings, dalle simulazioni del virtuale e dalla retorica degli architetti: infrastrutture, una chilometrica avenue tra Canton Road e l'Harbour Terminal, 20 ettari di parco, un lungomare di due chilometri (più lungo di quello tra la Tsim Sha Tsui clock tower all'Hong Kong Coliseum), un cluster di quattro musei, tre teatri, un'Opera House, un'arena da 15mila posti, un Expo Centre, appartamenti, uffici, negozi, eccetera.
Al momento in pole position, il progetto di Foster è quello che sulla carta offre la maggiore varietà di spazi pubblici e le immagini delle varie soluzioni mantengono fede al motto «city park», per la suggestiva striscia verde affacciata sull'acqua con tutti i caratteri del parco pubblico sviluppato su un'insolita scala metropolitana.
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