Storia dell'articolo
Chiudi
Questo articolo è stato pubblicato il 06 febbraio 2011 alle ore 08:22.
Solo due settimane fa il premier albanese Sali Berisha accusava l'opposizione socialista, scesa in piazza per chiederne le dimissioni, di tentare «un colpo di Stato violento alla tunisina».
Dopo i morti e i feriti tra i manifestanti a Tirana, le agitazioni non si sono placate. Il 15 febbraio al «Berlin international film festival» (dal 10 al 20 febbraio) in competizione e in prima mondiale sarà presentato The forgivness of blood dell'americano Joshua Marston – coprodotto e distribuito da Fandango –, film sulla società albanese, in bilico tra regole arcaiche e democrazia. Una scelta che conferma la vocazione politica del festival cinematografico tedesco, che, tra le rassegne di peso, è la più sperimentale e audace per la scelta dei temi e per età anagrafica dei registi. Marston, 43 anni, torna a Berlino dopo il premio per miglior opera prima nel 2004 con Mary full of grace. «Sono felice, ma anche piuttosto nervoso. Sono curioso di vedere come il pubblico accoglierà questo mio nuovo lavoro. Vorrei che fosse chiaro che questo non si tratta del sequel di Mary, ma un'opera completamente diversa», puntualizza Marston.
Dalla Colombia della giovane incinta, che si offre di fare da corriere della droga per guadagnare e poter tenere il figlio, si passa al 17enne Nik, che vive nella parte settentrionale dell'Albania, frequenta l'ultimo anno delle superiori, flirta con una ragazza e sogna di aprire un internet point. La sorella di Nik, Rudina, è una tosta 15enne, brillante studentessa, che spera di frequentare l'università. Ma il cammino delle legittime aspettative è interrotto da assurde leggi tribali. Il padre dei ragazzi, Mark, dopo una lite per un terreno, viene accusato di omicidio.
Alla famiglia del morto, secondo le leggi del Kanun, codice civile balcanico del quindicesimo secolo, spetta il diritto/dovere di lavare l'onta nel sangue, uccidendo un maschio adulto della famiglia avversaria. Mark scappa e la vendetta ricade su Nik, che deve vivere in isolamento. Sarà Rudina a prendersi l'onere di guadagnare per la famiglia, abbandonando gli studi.
«Nell'area balcanica conoscevo solo l'ex Jugoslavia, dove ho viaggiato prima della guerra. Non sapevo però nulla dell'Albania, tranne che era un piccolo paese, isolato dal resto del mondo per decenni, per me affascinante e misterioso. Quando ho letto alcuni saggi che parlavano di tradizioni e fenomeni locali, sono rimasto catturato, tanto da decidere di girare un film su questa realtà. La storia che ho scelto è albanese, ma allo stesso tempo universale. Parla di un ragazzo che usa internet e facebook, scrive sms e parla al cellulare, ma non può uscire di casa. Mi interessava capire come i teenager a contatto con il resto del mondo, si confrontino con una società fortemente patriarcale, dove le donne sono relegate a un ruolo di subordinazione, che impone loro di chiedere il premesso al fratello maggiore o al padre di andare a una festa o proseguire l'istruzione. Volevo capire come un ragazzo di oggi possa accettare di relegarsi alla solitudine per obbedire a leggi arcaiche».