Questo articolo è stato pubblicato il 06 febbraio 2011 alle ore 08:19.
Ci fu un tempo, molti anni fa, in cui qualche intellettuale si divertiva a sostenere che il primo giallo della storia fosse la Bibbia (per via di Caino e Abele) oppure che il genere fosse scaturito dalla fondazione di Roma (per via di Romolo e Remo). Robert William Arthur Cook, autore inglese di nove romanzi e figura quantomeno singolare nel panorama della letteratura europea, sosteneva invece che il migliore sceneggiatore di noir mai esistito fosse William Shakespeare. La sua tesi, a mio parere, è certo la più convincente (intrecci, intrighi, morti e dark ladies del Bardo ce lo ricordano).
Ora di Cook esce l'autobiografia, Stanze nascoste, edita, come le altre sue opere, dall'editore padovano Meridiano Zero. Esce, ovviamente, con il nome che Robin – così l'ho sempre chiamato e così è sempre stato nelle nostre conversazioni questo «sciagurato» amico – aveva trovato per i suoi romanzi e con il quale è diventato celebre: Derek Raymond.
Lo scrittore nasce nel 1931 da una famiglia inglese assai facoltosa e risiede in un castello del Kent fino all'adolescenza, conduce vita da irregolare. Dopo gli amici di famiglia, ricchi incartapecoriti dentro i loro rigidi dettami formali, si mischia con triviali truffatori da pochi soldi, loschi falsari e signore molto poco raccomandabili. Vagabonda fra Europa e Africa, fa da prestanome ai più noti furfanti degli anni 60. In Spagna rischia il carcere per contrabbando di auto rubate; ad Amsterdam, dopo un furto di quadri preziosi, sostiene interrogatori lunghi diciassette ore senza mai aprire bocca. Va a vivere a Parigi, dove stringe amicizia con Allen Ginsberg e si esalta alla teoria di William Burroughs secondo la quale bisogna «saccheggiare il Louvre» (anche se il suo punto di riferimento resta Sartre); fa il vignaiolo in Toscana e Francia; inanella cinque mogli e mette al mondo due figli, senza poi curarsi né delle une né degli altri. Non esita a dichiarare di non aver mai amato la madre: casomai, con lei ha costantemente combattuto una guerra civile («la più oscena delle guerre»).
Robin-Derek beveva ancora il tè servito in tazze di porcellana di Sèvres, quando aveva nove anni e il cielo del Regno Unito veniva violato per la prima volta dai Messerschmitt della Luftwaffe. Non erano belli da guardare, i morti crivellati dai proiettili delle mitragliatrici dei caccia tedeschi, e al piccolo Robert toccò di vederli. In Italia a sbucare dal cielo e a mietere vittime erano i caccia Mosquito della Raf, soprannominati Pippo. E una delle vittime di Pippo toccò a me di vederla. Fu così che quando conobbi Robin e scoprimmo di avere questa esperienza in comune, nacque fra noi un'amicizia speciale, simile a un segno di riconoscimento. Ci sembrava che la memoria che condividevamo, unici, fra i numerosi presenti alla riunione di scrittori, formasse un nostro prezioso, personale patrimonio storico.