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Narrazioni di un legame profondo

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Questo articolo è stato pubblicato il 06 febbraio 2011 alle ore 08:21.

Quando Giacobbe chiude gli occhi, è sicuro che ad attenderlo ci sarà lo spazio vuoto dell'incoscienza. È troppo stanco per camminare ancora, il sole è tramontato da un pezzo, e non è prudente avventurarsi oltre nel deserto. Si corica per terra, con una pietra per capezzale, e si abbandona alla solitudine della notte. È la sua anima a produrre la visione, o quella scala è proprio in bilico tra terra e cielo? In basso s'appoggia sulla roccia, ma cosa la sostiene, in alto, oltre la luce, oltre le sagome che balenano veloci? E poi la voce, piena di promesse, rassicurante, che gli si rivolge con parole inequivocabili: «Io sono il Signore». L'ha udita davvero, e ne ha davvero compreso il messaggio? Al suo risveglio, Giacobbe è solo con il suo stupore: «Veramente il Signore è in questo luogo e io non lo sapevo... questo non è altro che la casa di Dio e la porta del cielo».

Il sogno di Giacobbe è uno dei momenti fondanti della rivelazione biblica, vero fulcro della tradizione giudaico-cristiana, ma anche metafora dell'esperienza religiosa, allegoria delle speranze e dei dubbi che accompagnano il viaggio dell'uomo verso la propria fede. Come la scala che appare al patriarca disegna un arco impossibile, eppure solido, che unisce realtà mondana e dimensione celeste, così la religione è ansia umanissima di un ordine sovrumano.

Religione è, innanzitutto, «legame», come vuole l'etimologia invalsa di «religio» da «religare». Ricerca dei nodi che uniscono visibile e invisibile, allo stesso tempo scoperta e azione. Sono gli dèi, o Dio, ad averli voluti, ma l'uomo religioso non è mai inerte: a lui spetta rinsaldare il filo col trascendente attraverso il rito, attività incessante e decisiva, a cui la fede conferisce un compito importantissimo, ovvero la sopravvivenza dell'individuo, della comunità, del cosmo stesso.

Il rito assicura la comunicazione tra alto e basso, fa sì che la scala di Giacobbe non sia solo sfuggente materia di sogno, ma rimanga aperta, percorribile – in un senso e nell'altro – tanto dai messi divini quanto dalle preghiere umane. Nella narrazione biblica, il patriarca dà al luogo il nome di Betel, «casa di Dio», e del deserto fa un tempio. Dapprima senza mura, e poi ornato, splendido, indistruttibile e distrutto. Secondo la tradizione ebraica, Betel si fuse miracolosamente col Monte del Tempio di Gerusalemme, e la pietra su cui Giacobbe posò il capo non sarebbe altro che il fondamento del Santuario della Città Santa. Il teatro della visione diviene spazio sacro.

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Tags Correlati: Buddha | Filosofia | Gesù Cristo | Giovanni Filoramo | India | Senofane di Colofone

 

Se la religione è fondata sul legame, l'irreligione sarà il tentativo di scioglierne i lacci, o di tagliarli con un colpo netto. «Religionum animum nodis exsolvere pergo», «M'adopro a districare l'animo dai nodi delle religioni», scriveva nel I secolo Lucrezio, archetipo geniale d'incredulità e di mistica della scienza. Il simbolo è lo stesso, solo il suo significato si è rovesciato.

Nonostante le critiche agli antropomorfismi e alle credenze del mito, che in Grecia cominciano almeno nel VI secolo a.C., con Senofane di Colofone, il simbolismo religioso ha continuato a costituire la base della convivenza sociale per lunghissimo tempo. Si può dire anzi, che la vera prima crisi della religione sia giunta in Occidente tra Cinque e Seicento, quando cominciò il distacco moderno tra polis ed ecclesia. Fino ad allora e, in ampie parti del mondo, anche più tardi, è l'ordito delle credenze religiose a sostenere la trama della cultura e della vita pratica. È cioè il rapporto con l'ordine celeste a regolare, fin nei dettagli, l'organizzazione dello scibile e dell'esperibile. Lo studio della religione è dunque il presupposto indispensabile per una piena comprensione delle società tradizionali, così come di molti aspetti del mondo moderno.

Per chi si voglia avventurare in questo campo così avvincente, i sei volumi de Le Grandi Religioni curate da Giovanni Filoramo (ora proposti dal Sole 24 Ore) offrono una guida ben calibrata. Il piano dell'opera è ambizioso e si estende dalla credenze dell'antichità, all'ebraismo e al cristianesimo, fino a toccare Islam, India ed Estremo Oriente, America precolombiana e popolazioni cosiddette primitive. È, consapevolmente, un ritmo scandito sulle tre grandi fedi monoteistiche, che si estende verso ambiti sempre più remoti da un punto di vista geografico e culturale. In effetti, la vera ricchezza del tema religioso consiste nel poter essere percorso anche in senso trasversale, per andare alla scoperta dei moltissimi intrecci con la cultura materiale e spirituale.

Oltre, naturalmente, all'approccio teologico, si può allora scegliere una chiave di lettura iconografica, e confrontarsi, per esempio, con le varie realizzazioni visive della mistica buddhista, dalla ghirlanda di raggi attorno alla persona del Buddha, sino alla fiammella splendente a una o tre cuspidi sospesa sul suo capo. Se si decide di approfondire la topografia che fa da sfondo alla creatività delle fedi, sia potrà passare dal deserto dell'Arabia, in cui campeggiano le solitudini e i conflitti interiori di Maometto, ai villaggi dell'Oceania, stipati dalle visioni dell'animismo. Il corpo del l'uomo è poi legato all'agire ieratico, in un repertorio che va dai gesti d'iniziazione con cui il fanciullo indiano viene introdotto allo studio dei Veda, fino all'intricato cerimoniale degli aruspici o ai riti di purificazione del sacerdozio ebraico. Se invece si vuole seguire a ritroso il gran fiume della narrazione religiosa, ci s'imbatterà nelle saghe nordiche, nei poco casti amori del pantheon ellenico o nelle frenetiche diatribe degli sciamani con dispettosi spiriti dell'oltremondo.

E infine, poiché, come scriveva Wittgenstein, «nel nostro linguaggio si è depositata un'intera mitologia», si potrà andare in cerca del divino nelle famiglie lessicali dell'indeuropeo e scoprire tutte le varie e affascinanti derivazioni dell'antichissimo deiwos, "dio": deva (vedico), daeva (avestico), deus (latino), dia (antico irlandese), dievas (lituano), tivar (antico nordico).

A prima vista, il concetto stesso di storia delle religioni potrebbe sembrare un ossimoro, giacché la dimensione naturale del divino è l'eterno, ed è su questa immensità che l'homo religiosus misura il proprio passo. Eppure ogni agire di fede è anche mondano, concreto e temporale. Si può dire che le religioni si siano confrontate con la storia ancor prima che esistesse la storiografia, e continuino a farlo, anche dopo la moderna secolarizzazione. Sarà forse per questo che la prospettiva religiosa si dimostra così vitale nella contemporaneità, e che le religioni appaiono oggi tanto dinamiche nonostante la morte del divino sia stata annunciata più volte a gran voce. Storia delle religioni può significare dunque politica, anche quella d'oggi, e verosimilmente di domani, tra fondamentalismi di varia ascendenza, neo paganesimo e sincretismi più o meno disinteressati. La spiegazione della sostanziale tenuta del credo religioso, oltre gli orrori della storia del Novecento, è probabilmente da cercare nella capacità di addentrarsi non solo nella luce ma anche nella tenebra.

Dopo la visione beatifica della scala nella solitudine di Betel, Giacobbe dovette lottare per una notte intera con un nemico mortale, un angelo possente e impietoso. Il patriarca non cedette, e conquistò l'alba stremato, ma ancor vivo. Il divino è tanto profondo da poter contenere anche il male del cosmo e, forse, redimerlo.

Fondatori
Maometto
Fondatore e profeta dell'Islam, nasce alla Mecca nel 570. Nel 610 riceve la "Rivelazione"
Buddha
Il Buddha, che significa "illuminato", inizia a predicare la sua dottrina (Dharma) nel bacino del Gange verso il 525 a.C., dopo aver conosciuto il Risveglio
Gesù Cristo
Gesù di Nazaret nasce a Betlemme al tempo di Erode e di Quirino, governatore della Siria. È il Messia e fondatore del Cristianesimo

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