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Questo articolo è stato pubblicato il 06 febbraio 2011 alle ore 08:20.
Recentemente si è venuta formando nel nostro paese una nuova, agguerrita generazione di critici letterari, spesso molto attivi benché semisommersi: i loro testi sono perlopiù reperibili in rete o dispersi in prefazioni, in riviste senza vera circolazione. Non so se questa nuova critica (diciamo under 40, con approssimazione) sia una fucina di talenti straordinari, ma certamente ha il merito di porre due questioni cruciali per la nostra cultura: un ritrovato Senso della Tradizione e una particolare enfasi sull'Individuo, sulla sua singolarità irripetibile. Aggiungo che nonostante la netta prevalenza delle lettrici sui lettori, le donne della critica continuano a essere poche o forse solo poco visibili. Infine: si tratta perlopiù di critici che non ricoprono ruoli accademici.
Anche solo a scorrere articoli e saggi dei giovani critici, sembrano tornare con insistenza alcuni nomi di classici italiani. Primo fra tutti Leopardi: ho in mente il notevole saggio di Fabrizio Patriarca su Leopardi e l'invenzione della moda (Gaffi 2008), in cui il poeta di Recanati è presentato come anticipatore di Simmel e Benjamin e In luoghi ulteriori. Catabasi e parodia da Leopardi al Novecento (Giardini, 2005) di Gilda Policastro, avvincente rilettura della discesa agli inferi in vari autori. Ma si tratta spesso di classici novecenteschi: la stessa Policastro ha scritto pagine acuminate su Pirandello. Si veda poi l'attenzione nei confronti di Fenoglio sia in Gabriele Pedullà, che ne reinterpreta in modi originali l'espressionismo (La strada più lunga, Donzelli 2001), e sia in Paolo Maccari. Ma di Pedullà va soprattutto ricordato il recente Atlante della letteratura italiana (Einaudi), curato insieme allo storico Luzzatto, in cui si propone un modo spiazzante di fare storiografia letteraria (su queste pagine se ne è parlato ampiamente). Di Maccari cito i saggi brevi relativi all'«iracondo Bianciardi» e alla «serietà» di Flaiano. Emiliano Morreale ha pubblicato qualche anno fa un libro smagliante su Mario Soldati. Paolo Febbraro, finissimo critico di poesia (e poeta) si è occupato di Saba e Palazzeschi. Stefano Gallerani ha indagato con acume l'opera di Brancati, D'Arzo e Landolfi (sul «Caffè» e sull'«Illuminista»). Proprio sul tema del confronto tra contemporanei e classici Matteo Di Gesù ha scritto un utile saggio (Paralleli, Edizioni di Passaggio, 2009). Francesca Serra, che ha intelligentemente prefato il primo volume Bompiani delle opere di Moravia dedica a Calvino una penetrante analisi (Calvino, Salerno 2006), in cui ritrova una continuità nello scrittore senza più contrapporre le due fasi o anime calviniane (narrativa e combinatoria, realistica e fiabesca). Paolo Di Paolo sceglie di fare i conti con il suo "maestro" Indro Montanelli, e insieme ad Antonio Debenedetti ha ripercorso alcune figure decisive del Novecento letterario. Infine Francesco Longo, che si è occupato tra l'altro di Dante e di Bassani, non dissimula la sua appuntita verve satirica: memorabile uno spavaldo articolo di due anni fa in cui auspicava che Sanguineti chiedesse scusa alla letteratura italiana per i guasti prodotti dalla sua teoria dell'antiromanzo. In ogni caso la tradizione, accolta con devozione o anche rifiutata polemicamente, non viene più ignorata. Pensiamo anche a due saggisti solo lievemente over 40 come Domenico Scarpa e Andrea Cortellessa, entrambi impegnati alacremente in un confronto serrato con le domande ustionanti della modernità.