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Io celebro me stesso: scegliere Whitman per raccontare Ginsberg

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Questo articolo è stato pubblicato il 08 febbraio 2011 alle ore 13:44.

«Celebro me stesso, e me stesso canto e ciò che immagino io lo immaginerai tu, perché ogni atomo che mi appartiene appartiene anche a te». Sono versi di Walt Whitman, rubati dalla celebre raccolta «Foglie d'erba». Ed è proprio l'incipit di questa poesia che Bill Morgan, archivista di Allen Ginsberg, prende in prestito per dare il titolo alla sua biografia dedicata al padre della beat generation. Una scelta non casuale se è vero che i due, pur appartenendo ad epoche diverse, si sono per così dire incrociati a più riprese.

Il cantore dell'America
Ginsberg ammirava il grande cantore estatico e libertario dell'America e a lui si ispirò inserendosi nel solco della più autentica tradizione poetica nazionale. Inseguì lo spirito del vate di «O capitano! Mio capitano!» che tante volte nella sua opera troviamo direttamente e indirettamente citato. Ma, dal fantasma del nobile antenato che amava evocare, era anche rincorso. E quando Lawrence Ferlinghetti lo sentì declamare per la prima volta «Urlo», lo apostrofò citando la famosa lettera nella quale Emerson scriveva proprio a Whitman: «Ti saluto all'inizio di una grande carriera».

Il poeta della beat generation
Aveva ragione il poeta-editore della City Light. La carriera di Allen sarebbe stata eccezionale. L'autore di «Urlo» sarebbe presto divenuto famoso in tutto il mondo, acclamato come una rockstar da migliaia di ragazzi che avevano imparato a memoria i suoi versi. Più che un semplice scrittore, Ginsberg sarebbe diventato un simbolo. Fondatore, insieme a Kerouac e Burroughs della beat generation e poi vero e proprio guru del movimento hippy. Sciamano moderno, organizzatore di eventi, ribelle, artista, instancabile p.r. dei beat, ambasciatore della cultura americana nel mondo. Allen fu tutto questo e molto di più.

La folla degli ammiratori
L'ammirazione che gli veniva tributata non sbiadì mai e, ancora nell'ultima parte della sua vita, i locali che dovevano ospitare i suoi reading erano sempre troppo piccoli, inadatti a contenere le folle che questo vecchio poeta richiamava ovunque il suo nome facesse capolino in un cartellone. Impossibile chiuderlo in un cliché e relegarlo a fenomeno sociologico legato all'universo beat come, d'altra parte, hanno provato a fare in molti. Anche perché la sua lunga parabola non rimase cristallizzata in un'epoca, né imprigionata in una moda circoscritta nel tempo.

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Io celebro me stesso

Io celebro me stesso

Tags Correlati: Allen Ginsberg | Apple | Bill Morgan | Bob Dylan | Emerson | Gruppo Editoriale Il Saggiatore | Jim Morrison | Lawrence Ferlinghetti | Letteratura | Re di maggio | The Beatles | William Blake

 

La leggenda
Certo, Ginsberg è un simbolo, un'icona impressa nella memoria collettiva. Le lunghe vesti indiane, la folta barba, l'armonium, i cimbali… La sua immagine fa parte della leggenda, del grande armamentario culturale degli anni '60. Accanto a quelle di Dylan che suona l'armonica, dei Beatles in concerto sul tetto della Apple Records, di Jim Morrison a torso nudo con i capelli scarmigliati e i pantaloni di pelle nera. Ma la sua storia e la sua importanza non si esauriscono qui. Tuttavia, l'aura quasi mistica che lo circonda può facilmente indurre a farne un ritratto dai contorni mitici e a lasciare cha la sua figura venga avvolta dalle seducenti nebbie della leggenda.

Bill Morgan
In questo errore non incorre il libro di Bill Morgan. Archivista di Ginsberg per vent'anni, l'autore lo ha conosciuto personalmente. Ma Morgan, nonostante questo, evita un altro ostacolo nella stesura della biografia, e non ricorre a qualcosa di fasullo e artefatto che possa suonare come « la mia vita con Allen Ginsberg».

Gli archivi
In fondo lui aveva un'altra carta, decisamente migliore, da giocare. In tanti anni, aveva avuto accesso all' intera,immensa, produzione del poeta. Non solo ai versi ma anche ai circa cinquecento diari che, nel corso di una vita, Allen aveva compilato. Una mole sconfinata di racconti, aneddoti, curiosità, pensieri, aspirazioni, dubbi, emozioni. «Ho avuto il privilegio dell'accesso illimitato ai suoi archivi - dice Morgan - e a volte il mio egotismo arriva a indurmi a credere di essere il solo ad aver letto da cima a fondo ciò che Allen ha scritto». Con ogni probabilità, è la pura e semplice verità. Chi altri, mai, potrebbe avere avuto la possibilità, il tempo e la costanza di consultare tutto questo materiale?

La vita quasi privata
Ecco perché «Io celebro me stesso» è un libro straordinario e fuori dal comune. «La vita quasi privata di Allen Ginsberg», recita un sottotitolo quanto mai azzeccato. È un'opera massiccia ma non monumentale e non c'è alcun motivo di credere che lo sforzo più grande dell'autore sia stato altro che quello (dichiarato) di tagliare e sintetizzare. Ed Sanders, per esempio, al padre dei beat ha dedicato un poema, non una biografia, e ne sono uscite 250 pagine di versi… Per spiegarci le sue difficoltà, Morgan cita niente meno che Pascal: « Se avessi avuto più tempo, ti avrei scritto una lettera più corta». È facile, infatti, intuire il gran lavoro e lo sforzo di uno che ha letto migliaia e migliaia di pagine scritte da Ginsberg per ridurre il tutto ad un volume che possa essere pubblicato.

1943-1967
Tolta la primissima parte dell'esistenza di Allen, Morgan ha dedicato un capitolo ad ogni anno dal '43 al '97. Dalla voce di William Blake che raggiunge il giovane attraverso i secoli, all'espulsione dalla Columbia University; dagli incontri con Kerouac, Cassady e Burrough, al rapporto con la madre malata; dal processo a «Urlo all'elezione a Re di Maggio in Cecoslovacchia. E poi i viaggi da un capo all'altro del mondo, le letture di poesie, Bob Dylan, il buddhismo, l'India, gli amici, l'omosessualità, gli amanti, le droghe. Nelle quasi 700 pagine del libro c'è tutto l'universo di Allen Ginsberg.

Un libro, un uomo
Un mondo nel quale Morgan ci conduce quasi in punta di piedi. Scomparendo subito e limitandosi ad illuminare la strada, lasciando spazio alla voce stessa del protagonista che sembra tornare indietro nel tempo per narrare la sua storia al lettore. Il ritratto che ne esce non appare mai artefatto o costruito, trasmette piuttosto una sensazione di freschezza e di spontaneità dall'inizio alla fine. E ancora una volta, come non manca di fare Morgan, bisogna citare Whitman per descrivere con esattezza lo spirito di «Io celebro me stesso»: «Questo non è un libro, chi tocca questo, tocca un uomo».

«Io celebro me stesso»
Bill Morgan
693 pagine, Il Saggiatore.
http://saggiatore.it/

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