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Cultura-Domenica Teatro e danza

Play, la danza seduttiva di Sidi Larbi e Shantala non scalda il cuore

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Questo articolo è stato pubblicato il 08 febbraio 2011 alle ore 12:50.

La danza «glocale» di Sidi Larbi Cherkaoui e di Shantala Shivalingappaal festival Equilibrio. È il gioco del teatro. Il gioco ludico. Il gioco fra le persone. Il gioco tra le culture. «Play» è tutto questo. In questo lavoro, firmato e interpretato in tandem dal belga-marocchino Sidi Larbi Cherkaoui e dalla danzatrice di origine indiana Shantala Shivalingappa, i due artisti sviluppano la propria danza d'origine e di formazione facendola entrare in dialogo con quella dell'altro.

La seduzione
Per imparare a conoscersi, per capire le reciproche differenze. I due destrutturano e ricompongono un linguaggio «altro», che unisce partiture fisiche diverse in una ricerca che coniuga tradizione e contemporaneità. Ingaggiano una partita a scacchi che è studio emotivo dell'avversario, confronto e gioco di seduzione. Danzano le mani, ingrandite su uno schermo; poi le braccia, sinuose e avvolgenti; quindi il corpo che attinge ai movimenti del partner, li fa propri, li elabora. L'intreccio coreografico diventa racconto d'amore, dove le energie uomo-donna vengono ad opporsi, non per eludersi ma per entrare in contatto.

Le maschere
Il gioco dualistico si intensifica indossando delle enormi maschere orientali, manovrando due enormi marionette che impersonificano il maestro e l'allieva, cantando con gli occhi bendati. La scena nuda, delimitata solo da enormi pedine di scacchi ai lati, e da una parete frontale di quadrati di legni che s'aprono e chiudono e fungono da schermo per proiezioni, è attraversata da pedane mobili dove sostano musicisti multietnici i cui strumenti orientali fanno da tappeto sonoro alla danza di Cherkaoui e di Shantala. Suoni e ritmo che mostrano anche il gioco come metodo di apprendimento imitando i ritmi composti dai propri compagni.

Esercizio di stile
Sidi Larbi
non è nuovo a spettacoli costruiti in coppia, con le stesse modalità di approccio e di indagine di scrittura coreografica, dove ritroviamo elementi comuni e ripetuti. Ma se nei bellissimi «Zero Degrees», in scena con l'anglo-bengalese Akram Khan, e in «Dunas» in coppia con la danzatrice di flamenco Maria Pagès, prevaleva una danza originale, di forte impatto, che emanava vortici di energia e di inventiva drammaturgica, qui il respiro di contrasto, di morbidezza, sembra essere più un esercizio di stile che una riflessione sulla capacità di abitare l'uguaglianza con la differenza. La formula di meticciato linguistico, cara alla poetica di Sidi Larbi, non stupisce più di tanto. «Play» risulta una poesia fredda che non arriva a scaldare il cuore.

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Tags Correlati: Adam Carrée | Akram Khan | Cultura | Florence Richard | Maria Pagès | Mostre | Paul Van Caudenberg | Piergiorgio Milano | Roberta Vacchetta | Roma | Shantala Shivalingappa | Sidi Larbi Cherkaoui | Simon Thierrée

 

«Play», coreografia ed esecuzione di Shatala Shivalingappa e Sidi Larbi Cherkaoui, luci Adam Carrée, video design Paul Van Caudenberg.
All'Auditorium Parco della Musica di Roma per il Festival Equilibrio.

Migranti.
Il titolo "Ai migranti", spettacolo vincitore del Premio Equilibrio 2010, suona come una dedica a tutti coloro che affrontano il difficile e doloroso spostamento verso rotte geografiche precise ma dense di incognite esteriori e interiori. Sulla scia del "Nouveau cirque" – genere nato Oltralpe, di commistione dell'arte circense con i linguaggi scenici della danza e del teatro contemporaneo – i cinque giovani artisti e interpreti del Collettivo 320Chili, accomunati dall'esperienza di studio alla scuola di circo "Flic" di Torino, hanno saputo coniugare "le diverse esperienze di formazione – così motivava, tra il resto, la giuria - in un risultato corale ed armonico che prende, tra l'altro ispirazione da un evento rilevante della nostra epoca, che riguarda tutti noi".

È un susseguirsi di immagini evocative e pittoriche, un flusso continuo di movimenti e sequenze che rimandano, con qualche perdonabile ingenuità, alla chiara tematica dei popoli migratori. Il rumore del mare e una cassa faticosamente trascinata è l'immagine d'inizio. A quel baule se ne aggiungeranno altri due, diventando l'oggetto emblematico del racconto. È zattera, scoglio, casa, nascondiglio, tavolo, scrigno di ricordi. Si esce e si entra in esso, con salti e capriole; ci si nasconde, vi si abita, ci si difende. Le casse unite diventano panchine di un vagone ferroviario dove i danzatori, dormienti e accatastati l'uno sopra l'altro, ingaggiano una geniale e divertente coreografia scompaginandosi in un continuo intreccio in cui si scacciano a vicenda da quel piccolo spazio senza toccare terra. L'impeccabile tecnica acrobatica dei performer viene piegata alla necessità del movimento a volte descrittivo, a volte più simbolico.

Sfuma in danza corale tra acrobazie, scivolamenti e avanzamenti in ginocchio; in assoli e duetti struggenti e ironici, che esprimono condizioni dell'anima e tessiture relazionali. La coreografia, firmata da Piergiorgio Milano, crea raccordi gestuali dosando l'energia esplosiva a gesti più contenuti. Mantiene sempre chiaro il filo rosso del racconto. Evoca immagini di sbarchi clandestini, di approdi e di ulteriori fughe, di conflitti fra gruppi, di angusti ritrovi, di solidarietà necessaria. E non sono mai retoriche certe figurazioni che sono espliciti rimandi: come la contesa di un pezzo di pane che passa da una mano all'altra, o il ritrovamento di corpi morti o in fuga illuminati a flash da un gioco di torce elettriche che perlustrano nel buio della scena mentre s'odono rumori di passi, di cani e di polizia. Più semplicistici altri passaggi: come l'uso della corda per riprendere chi vorrebbe far ritorno, o per acrobazie aeree troppo insistite.

Il finale è una sarabanda poetica. Nella confusione di una folla in preda ad una follia anarchica, un uomo si trascina come un barbone recando con sé un mucchio di oggetti – materassi, coperte, tubi, borse, cartoni – che diventeranno di tutti. Dalle borse usciranno stracci buttati in aria mentre alcuni innalzeranno una torre con le casse addobbandole con altri oggetti. Intanto uno del gruppo avrà costruito un enorme cerchio e, danzandovi appeso come l'uomo michelangiolesco, ruoterà lievemente scivolando su quella scena di derelitti, mentre tutto si acquieta in un silenzio pregno di storie.

"Ai migranti", Collettivo 320Chili, direzione e coreografia Piergiorgio Milano, musiche originali Simon Thierrée, disegno luci Florence Richard, costumi Roberta Vacchetta. All'Auditorium Parco della Musica di Roma per il festival Equilibrio. Fino al 27 febbraio. www.auditorium.it

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