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Questo articolo è stato pubblicato il 09 febbraio 2011 alle ore 21:24.
Quanto è bravo il «professor» Marco Paolini alle prese con Galileo Galilei! Il teatro per lui, è un'avventura antica, filtrata dallo sguardo da uomo contemporaneo intelligente. Oltre al talento indubbio, la capacità affabulatoria peculiare, è un artista che non tradisce mai nelle scelte, scavalcando i canoni facili e commerciali, riempie a tutto spiano i teatri e raggiunge picchi di audience nelle sue performance televisive. In tempi di grandi fratelli e dintorni, è un miracolo.
Il prologo
Dissertare sui massimi sistemi è rivoluzione, come annuncia nel prologo del suo spettacolo «Itis Galileo», che parte come una scheggia seguendo la velocità della terra, ossia milleottocento chilometri ogni sessanta secondi. Eccoci catapultati nel Seicento tra fisica, astronomia, filosofia, Copernico, Keplero, Tolomeo, Giordano Bruno. Il teatral-docente e gran cerimoniere, avverte il pubblico del Teatro Ambasciatori di Catania: «Si tratta di materia complessa si farà fatica ad arrivare alla fine della serata». Dobbiamo smentirlo, quella materia è contagiosa, viva, pulsante in un attimo Paolini ipnotizza la sala, instaura la sua proverbiale empatia e voilà la lectio magistralis ha inizio.
Un salto nella macchina del tempo
«Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo» è il libro di Galilei, da cui il cantastorie del terzo millennio decolla, con un salto nella macchina del tempo dal leggio ci porta per mano, grembiale di cuoio da garzone di bottega e baschetto nero, sul palcoscenico, dove domina una gigantografia autografa dello scienziato e penzola una grande sfera a forma di mina marina che fa da scrigno al sistema copernicano. Marco con disinvoltura mescola: rigore storico e inventiva in uno schema drammaturgico efficace, dimostrando di essere raffinato indagatore delle umane vicende e facendo dimenticare l'immagine classica di Galilei vecchio e con la barba bianca.
Un Galileo moderno
Il suo Galileo è moderno, umanissimo: fiorentino nato a Pisa, genio non laureato, insegnante precario di matematica all'Università, arrotonda lo stipendio facendo oroscopi, un po' «sborone», se la tira specialmente dopo l'invenzione del cannocchiale. Ma è soprattutto lo scienziato che rifiuta la morte eroica abiurando, ma non rinuncia alle sue teorie, china il capo ai dogmi della Chiesa senza cambiare idea, e ci appare alla fine un uomo libero dalla mente aperta, capace di riconoscere errori e dubitare.