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Questo articolo è stato pubblicato il 13 febbraio 2011 alle ore 14:11.
A Cambridge, nel Massachusetts, poco distante dalle celebri università di Harvard e del M.I.T., passeggiando sul fiume Charles attraverso il Memorial Bridge Anderson può capitare di imbattersi in una targa commemorativa. I caratteri scolpiti nel bel metallo opaco recitano: «Quentin Compson, drowned in odour of honeysuckle. 1891 - 1910». La memoria dell'«annegato in odor di caprifoglio» su cui la targa invita a soffermarsi è dunque quella del più noto personaggio di William Faulkner benché anche lui studente a Harvard nella finzione letteraria: Quentin Compson, tormentato eroe de L'urlo e il furore, il quale, innamorato non del corpo di sua sorella ma di un certo concetto dell'onore «sostenuto dalla piccola e fragile membrana della sua perduta verginità» decise di annegarsi nel fiume Charles il 2 giugno del 1910.
Quentin Compson è probabilmente, insieme allo Stehpen Dedalus di Ulysses, la migliore rivisitazione del personaggio di Amleto donataci dalla letteratura moderna. L'estensione della sua memoria nella concretezza del mondo reale (così come Dublino festeggia annualmente Joyce nonché se stessa con il Bloomsday) è solo la più evidente dimostrazione di come il suo autore abbia realizzato ciò che (insieme all'immortalità) è la massima aspirazione che uno scrittore possa avere, e cioè contribuire a formare l'identità nazionale del suo popolo nell'unico modo concesso alla letteratura: non annegando le contraddizioni inevitabili a qualunque paese nella melassa della retorica ma indagando le più scomode e spinose di esse con tanta profondità da costringerle a una resa quanto meno temporanea.
Le contraddizioni che Faulkner decise di raccontare erano quelle della sua terra, vale a dire la «parte sbagliata» dell'Unione: il Sud uscito sconfitto dalla guerra di Secessione e proprio per questo splendido e terribile nel suo rancore e nel suo orgoglio ferito, dove una sorta di intramontabile aristocrazia dei gesti convive con gli strascichi più orrendi e vergognosi di una mai definitivamente risolta questione razziale. Si tratta insomma del cuore violento del l'America più reazionaria e gonfia di pregiudizi, sempre dato per agonizzante e sempre destinato a risvegliarsi: negli strange fruits cantati da Billie Holiday (gli afroamericani linciati e impiccati nel periodo della Ricostruzione) o nelle infamie del primo e del secondo Ku Klux Klan, fino a giungere agli attentati di Oklahoma City e alla recente strage di Tucson. Intanto Faulkner riesce a raccontare questo mondo facendone un capitolo della storia nazionale (troppo facile dire che i sudisti reazionari non erano veri americani, che l'America non è fatta anche di questo) in quanto tratta persino i più violenti e farneticanti dei suoi personaggi non come ideologie ambulanti ma come esseri umani: creature complesse, contraddittorie, meritevoli di castigo per ciò che sono nonché di compassione per ciò che non riescono a essere.