Questo articolo è stato pubblicato il 18 febbraio 2011 alle ore 15:45.
Venerdì ricco, mi ci ficco. A neanche 10 giorni dalla consegna degli Oscar, le uscite di questo fine settimana, buone per quantità e qualità, ci mostrano alcuni dei film e delle protagoniste favorite al premio più importante del mondo del cinema (la cerimonia sarà il 27 febbraio). E proprio nella settimana in cui la dignità delle donne è stata reclamata a gran voce in decine di cortei e da un milione di persone grazie al movimento «Se non ora quando? Sono le donne a comandare anche il grande schermo.
Potremo goderci una superlativa Natalie Portman ne Il cigno nero, una sorprendente Jennifer Lawrence in Un gelido inverno, la piccola e coriacea Hailee Steinfeld de Il Grinta degli ultimi Coen, persino una sottovalutata Anne Hathaway in una commedia sentimentale dolce e divertente come Amore e altri rimedi, in cui l'ex principessa Disney è disinibita e malata di Parkinson. E se vogliamo aggiungere una godibile Reese Witherspoon in Come lo sai e Ksenia Rappoport ne Il padre e lo straniero (l'unica a salvarsi), abbiamo tutte le regine della settimana sul tavolo.
Natalie Portman Inevitabile iniziare da «Il cigno nero»: Natalie Portman, a neanche 30 anni è per, curriculum, talento e bellezza, una diva irresistibile. E con Darren Aronofsky supera il suo esame di maturità: la ballerina ossessionata dalla perfezione, la donna fragile in un corpo da cigno bianco e con animo represso e depresso da cigno nero, la grande protagonista di una messa in scena ambiziosa e potente costituiscono, insieme, una prestazione indimenticabile.
Il regista americano, come sempre originale e profondo nelle sue visioni, prende Tchaikovsky e il balletto come (pre)testo per riscrivere e descrivere l'anima e l'animalità del genere umano. Uno psicothriller tutto di testa e corpo, sexy e cerebrale, in cui c'è una delle scene (auto)erotiche più belle degli ultimi anni e in cui, allo stesso tempo, l'ultima dozzina di minuti del film è un mix di eleganza e raffinata violenza.
Vincent Cassel Accanto alla sapiente gestione di immagini, musica e attori di Aronofsky, geniale ed evocativo, c'è poi la grande prestazione di Vincent Cassel, alter ego del regista sul set: nella parte del mentore cinico e capace, dell'uomo che per l'arte è disposto a sacrificare anche una giovane donna, tirandole fuori il famoso cigno nero (il suo lato oscuro), è semplicemente magistrale. Il risultato è un film sopra le righe, estremo, pieno di selvaggia grazia. Natalie Portman, solo per aver resistito, meriterebbe l'Oscar.
Jennifer Lawrence E se potesse esserci un ex aequo, sarebbe difficile non metter sul gradino più alto del podio anche Jennifer Lawrence. Se la Portman è una ballerina troppo vecchia (24 anni!) per farsi scappare il treno del successo, qui la bionda e grintosa attrice è un'adolescente, diciassettenne, che deve ritrovare il padre criminale. Lo deve fare perché lui, uscito su cauzione e ora irreperibile, si è pagato la libertà impegnando casa, alberi secolari e l'onore di tutta la famiglia.
Alla piccola protagonista di «Un gelido inverno» (Winter's bone, acclamato al Torino Film Festival, vincitore al Sundance) il compito di salvare tutto. Di metter sulle sue spalle fratellini e ipoteca, e cercare una via d'uscita. La sua disperazione attiva, e a volte cattiva, è il motore di un film tutto recitazione e regia, in cui la trama è un filo sottile che si attorciglia sull'elemento noir di un padre, di un cadavere da trovare, a tutti i costi. Jennifer vedrà il suo bel viso tumefatto, maltrattato, dovrà vedersela con la sua stessa comunità, fatta di parenti e criminali (spesso sono gli uni e gli altri nella stessa persona), che ne sentono la diversità e l'intraprendenza come una minaccia.
L'America profonda Questo «Missouri» ottuso e violento è l'America profonda che esce anche dalle pagine di Daniel Woodrell, quella donna è la speranza spezzata, ma mai piegata, di un paese contraddittorio e violento. Il gelido inverno è il ghiaccio bollente di una ragazzina coraggiosa che ci commuove e ci conquista. Un film importante, bello, che sceglie le vie più difficili e meno commerciali per raccontarsi. E che lancia una stella.
Hailee Steinfeld Lanciare una futura stella è anche, sostanzialmente, l'unico merito dei fratelli Coen ne «Il Grinta». Nonostante le dieci nomination all'Oscar (dietro alle 12 de Il discorso del re, ma davanti a «The social Network») il nuovo film di Joel ed Ethan trova la propria migliore intuizione in Hailee Steinfeld. E' lei, più di una regia di scuola- la loro, è vero, ormai divenuta manierismo che tanto piace a giurie e critici - e delle star Brolin, Damon e Bridges (comunque una spanna sopra gli altri) a dare spessore al film.
Un western fiacco che è lontanissimo dall'originale con John Wayne, mai preso in considerazione dai cineasti e molto, troppo vicino al libro di Charles Portis. Lo stile compiaciuto, l'ottima tecnica, il talento di tutti però nascondono con difficoltà un film che fatica a stare in piedi, fatto più per specchiarsi narcisisticamente nelle proprie doti che per essere visto. Da mesi, però, gli incassi americani e i premi dicono il contrario: a parere di chi scrive più per merito di un ottimo marketing culturale - da «Non è un paese per vecchi» i Coen hanno capito quali sono le chiavi d'accesso all'Olimpo di critici e Academy - che per creatività e qualità del film. I loro capolavori, i due fratelli terribili li hanno già fatti, sottovalutati da (quasi ) tutti.
Anne Hathaway e Resee Witherspoon, due ex emergenti ora belle e affermate attrici, si sono invece rivolte alla commedia sentimentale. Due storie atipiche, in cui il sorriso è spesso malinconico. La prima, in «Amori e altri rimedi» è malata di Parkinson. Questo non le vieta evoluzioni sessuali acrobatiche con Jake Gyllenhall - meraviglie del cinema: lui era suo marito e gay in «Brokeback Mountain» - e un viaggio umano e sentimentale movimentato e piacevole. Resee, invece, è "solo" troppo vecchia per continuare a giocare nella nazionale di baseball, con i suoi 31 anni.
La sua «Come lo sai» è una pellicola che rischia di far fatica a trovare un target ma che tratta il tema delle scelte di vita e d'amore con una leggerezza non superficiale. Divertente Owen Wilson nella parte dell'immaturo playboy che prova a mettere la testa a posto, efficace e sempre bravo Paul Rudd in quella del rampollo un po' sfigato e troppo ingenuo, con la sventura ulteriore di essere figlio del manipolatore Jack Nicholson (che ormai fa fatica a non autocitarsi). Storia lieve e non banale, che merita d'essere vista anche se rischia di passare inosservata. E' una di quelle opere non indimenticabili di cui, però, qualcosa rimane sempre in chi guarda.
Tognazzi e Gasmann Difficile, invece, purtroppo ricordare (con piacere) I«l padre e lo straniero». Dispiace perché Ricky Tognazzi è uomo e anche cineasta di spessore, giocando con genere e impegno civile ha girato cult come «La squadra» e «Ultrà», e spingendo sul film d'autore ci ha regalato un gioiello come «Canone inverso». Ecco perché rimaniamo stupiti e delusi da questo racconto di amicizia maschile, infermità infantile, incontro culturale, amore paterno e familare e persino terrorismo (con tanto di servizi deviati italiani). In più di un momento dialoghi e immagini sembrano far pensare a una parodia che si prende sul serio e ci si rende conto, nei bivi di sceneggiatura, quante occasioni si siano perse.
E così sembra disorientato Alessandro Gassman, a cui va il ruolo più scivoloso, diligente la "moglie" Rappoport e bravo, ma male utilizzato Amr Waked nei panni del misterioso Whalid. Tognazzi sembra farsi trascinare da una storia scalcagnata ed essere troppo indulgente con se stesso e gli altri, soprattutto in fase di scrittura: eppure con lui c'è una squadra di livello, formata da Giancarlo De Cataldo, GrTaziano Diana e Simona Izzo.
Fantasy Chiudiamo con la fantascienza pop (e soap) di «Io sono il numero 4». Pronto a diversi sequel (l'epopea di Pittacus Lore, pseudonimo della coppia Jobie Hughes - James Frey, conta 6 libri) è un'improbabile accozzaglia di tutte le saghe fantasy e fantascientifiche di maggior successo degli ultimi anni. A cui aggiungere le serie televisive adolescenziali peggiori, dall'ultimo Dawson's Creek a Smallville. Tanti effetti speciali, l'arroganza visiva del regista DJ Caruso e pessima recitazione dei protagonisti Agron e Pettyfer fanno il resto. E pensare che il cineasta ha dalla sua, come sponsor, Steven Spielberg. E questo spiega, almeno, perché dopo il discontinuo «Disturbia» e il pessimo «Eagle Eye», ancora abbia budget consistenti con cui giocare a fare cinema.