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L'ottimismo della ragione secondo Matt Ridley

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Questo articolo è stato pubblicato il 18 febbraio 2011 alle ore 19:33.

Chi è un ottimista? Uno che pensa che viviamo nel migliore dei mondi possibili. E un pessimista? Uno che pensa che l'ottimista abbia proprio ragione. Al di là di questa vecchia battuta, e oltre i nobilissimi «pessimismi della ragione» e «ottimismi della volontà», per sperare in un mondo migliore, o magari per scoprire che quello in cui viviamo non è poi così male, è il caso forse di darci un'altra chance. Una chance più realistica e dinamica, che consiste nell'andare alla scoperta di buone, anzi ottime, ragioni per essere ottimisti.

Come ha fatto Matt Ridley, scrittore scientifico di talento – già autore di volumi come Genoma e La regina rossa (Instar libri), Il gene agile. La nuova alleanza fra eredità e ambiente (Adelphi) e della biografia di Francis Crick. Lo scopritore del codice genetico (or ora pubblicata da Codice edizioni) – con il suo recentissimo The Rational Optimist: How Prosperity Evolves (Harper Collins). Che significa letteralmente: L'ottimista razionale: come si evolve la prosperità, ma che all'editore italiano che ne ha comprato i diritti (Rizzoli) suggerirei di tradurre con un ancor più incisivo L'ottimismo della ragione.

Il libro è piaciuto, tra gli altri, a Bill Gates, che lo ha recensito nel suo sito (www.thegatesnotes.com/Learning/article.aspx?ID=182) muovendogli solo qualche appunto a proposito dell'utilità o meno degli aiuti ai paesi africani e di alcune idee sul cambiamento climatico (Ridley ha risposto con un articolo sul «Wall Street Journal», pure disponibile in rete); ed è piaciuto anche allo scrittore Ian McEwan, che nel suo ultimo romanzo Solar (Einaudi) sapientemente rilegge in chiave umoristica il debordante catastrofismo contemporaneo. È, del resto, lo stesso humour britannico cui ci ha abituato Ridley, con la sua «storia del genere umano in 23 cromosomi» (in Genoma, la cui narrazione si ispirava a quella di Primo Levi nel Sistema periodico) o con le esilaranti, nonché assolutamente vere, avventure di «sesso ed evoluzione» (La regina rossa), e che ora non manca nuovamente di stupirci – nel bel mezzo di una crisi economica mondiale come non se ne vedevano dal 1929 – con un libro che canta le lodi del progresso e dell'innovazione spiegandoci i meccanismi attraverso i quali si evolve la prosperità. Facendoci scoprire, tra l'altro, che anche le idee hanno un sesso, e che proprio per questo seguono un naturale processo di selezione in forza del quale, se continueranno su questa strada, potremo abbandonare molte visioni apocalittiche sul futuro della nostra specie.

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Tags Correlati: Adelphi Edizioni | Alberto Savinio | Andrea Zanzotto | Bill Gates | Carlo Goldoni | Cultura | Einaudi | Francis Crick | Italia | Ivan Lo Bello | John Brockman | John Padgett | Luciana Castellina | Matt Ridley | Pol Pot | Rizzoli | Società dell'informazione

 

«Gli standard di vita umani sono molto migliori oggi rispetto a qualsiasi altro periodo della storia – spiega Ridley –: a livello globale, il reddito pro capite si è triplicato solo nel corso della mia vita, tenendo conto anche dell'inflazione; la durata media della vita ha avuto un incremento del 30%; la mortalità infantile si è abbattuta di due terzi. Questi trend sono globali e non locali. Se si guarda alle cifre, non si può non riconoscere che siamo sempre più in salute, felici, liberi, benevoli, più pacifisti, più attenti all'igiene, più uguali e anche più intelligenti. Ovviamente non tutti in tutte le parti del mondo. Ma mediamente è così».

D'accordo, ma come è stato possibile tutto questo? E che cosa bisogna intendere per prosperità? «La prosperità è qualcosa che si evolve attraverso lo scontro e la riproposta di idee – idee su come associare atomi ed elettroni per esempio – e allo stesso modo su come soddisfare bisogni e desideri sempre di più e più facilmente. La mia tesi è che attraverso l'innovazione è possibile ridurre il tempo necessario per far fronte a un bisogno, lavorando per guadagnare il denaro necessario. Ecco cosa è la prosperità: il tempo necessario per guadagnarci la realizzazione dei nostri bisogni e dei nostri desideri. E dal momento che questo processo è determinato dallo sviluppo delle idee, non c'è alcun motivo di pensare che esso sia destinato a interrompersi improvvisamente nell'arco di questa generazione. Esistono ragioni d'ogni sorta per pensare che, al contrario, questo processo subirà addirittura un'accelerazione».


Proviamo a mettere nel giusto rilievo l'espressione «si evolve», riferita alla prosperità nel sottotitolo del libro. Significa anche che si può fare un confronto tra evoluzione biologica ed evoluzione sociale ed economica, dal momento che lo scambio, in linea con buona parte degli psicologi evoluzionisti, appare come la dimensione comportamentale che sta all'origine della fiducia? «"Si evolve" significa un cambiamento graduale indotto dalla mutazione, dalla replicazione e dalla selezione. Non sto parlando di evoluzione biologica, che si attua troppo lentamente per potere spiegare i cambiamenti culturali degli ultimi 200mila anni. Sostengo che è la cultura stessa a evolversi attraverso la sopravvivenza selettiva delle idee. Ciò è stato reso possibile solamente da quando le persone hanno iniziato a scambiarsi beni e servizi. La cultura è diventata anch'essa un bene cumulabile. Lo scambio ha avuto sulla cultura lo stesso effetto che il sesso ha avuto sull'evoluzione biologica. L'invenzione dello scambio ha reso possibile questo processo».


Bene. Ora però, per temprare meglio il nostro ottimismo, facciamo un piccolo esperimento in negativo. Immaginiamo una società dove scarseggia proprio il valore più importante per alimentare il nostro ottimismo: la fiducia. Quando la fiducia è resa per lo più impossibile in una società che è divenuta schiava di certi "circoli viziosi" (come la corruzione e altre perverse regole tacite che si sostituiscono a quelle buone), esiste un modo per invertire tale trend negativo? Quali buone regole potrebbero mai emergere, e in che modo, in un ambiente politicamente e socialmente corrotto? Nel dibattito lanciato anni fa sul sito edge.org, in cui si chiedeva quale fosse la propria "idea pericolosa", Ridley rispose «meno governo c'è meglio è». Ma in quelle situazioni questa idea non diventerebbe "troppo" pericolosa? (Piccola avvertenza per i lettori: a questa domanda risponde, in maniera complementare a quella di Ridley, Ivan Lo Bello nella pagina accanto). «In realtà, andando alle lontane origini storiche della fiducia – sostiene Ridley –, direi che è stata proprio l'Italia il luogo in cui, nel Medioevo, la fiducia è stata inventata e dove essa è divenuta un sistema efficace. Come affermo nel mio libro: "Quando John Padgett, all'Università di Chicago, mise insieme i dati numerici relativi alla rivoluzione del commercio nella Firenze del quattordicesimo secolo, egli si ritrovò davanti un sistema che, lungi dall'essere accresciuto per via dell'interesse personale, era al contrario un sistema fondato sul "credito reciproco", all'interno del quale i partner in affari erano stimolati ad ampliare gradualmente la propria fiducia e a garantire un sempre maggiore supporto gli uni agli altri". È il commercio, e non il governo, la fonte della mutua fiducia. Ciò emerge chiaramente da ogni età della storia passata. Io non sono d'accordo con l'idea che "meno governo" sia più pericoloso di "troppo governo". Il ventesimo secolo mostra fin troppo nitidamente cosa accade quando in un paese c'è "troppo governo": Hitler, Mao, Stalin, Pol Pot, Kim il Sung, Amin, Mugabe, Saddam; tutti questi e tanti altri esempi sono la prova concreta del pericolo insito nel "troppo governo". Il paese col minore intervento del governo è Hong Kong. Ovviamente la totale assenza di governo sarebbe anche sbagliata e molto negativa – la Somalia potrebbe esserne un esempio – ma siamo lontani da una cosa del genere! Il modello "troppo governo" è stato finora e continua a essere un pericolo più grande del modello "troppo poco governo"».

A Milano, martedì Matt Ridley inaugurerà una mostra su arte e scienza, un connubio che è anche una buona strategia per provare a superare la vecchia divisione tra le "due culture", quella scientifica e quella umanistica. «La scienza è, dal mio punto di vista, una delle arti. La creazione di conoscenza che si attua mediante la ricerca è in grado di generare alcune tra le cose più belle, commoventi e affascinanti: la teoria della selezione naturale; la doppia elica del Dna; la relatività ristretta. Per me una grande idea scientifica è tanto entusiasmante quanto lo è una grande opera letteraria o musicale. La scienza non è mera catalogazione di fatti: essa è l'esplorazione di ciò che non sappiamo e del mistero che vi è insito. Sì, penso sia di vitale importanza superare la divisione tra arte e scienza. Entrambe fanno parte della cultura».
Il fondatore di edge.org, l'agente letterario newyorkese John Brockman (che ha anche curato 153 ragioni per essere ottimisti, il Saggiatore), a questo proposito parla di una "terza cultura". Ha riunito sotto questa insegna autori di testi scientifici, come Dawkins, Greene, Pinker, Dyson e molti altri, che sanno esporre idee interessanti e profonde in modo diretto rivolgendosi a un amplissimo uditorio, alimentando dibattiti che non si fermano nella stretta cerchia degli scienziati, ma sono capaci di coinvolgere un pubblico non specializzato. Matt Ridley, ovviamente, è uno di loro.
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