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Questo articolo è stato pubblicato il 19 febbraio 2011 alle ore 08:16.
Non è la prima volta che vedo i lavori di Domenico Rosa. Lo conosco personalmente da tempo e l'ho sempre seguito. Di lui mi incuriosisce il fatto che sembri in continua ricerca di segni: una costante raccolta e catalogazione di segni, di metodi di pittura e modi di disegnare. Tutti questi materiali li semina poi sui fogli e, esattamente come un collezionista, lascia che sia la sua raccolta a parlare per lui. I suoi segni sono spesso delle entità con vita propria, con un'anima, e Rosa sa agire con gli elementi e fa sì che quell'anima si manifesti e arrivi intatta a noi che li osserviamo.
Adesso, in questa serie di disegni per la mostra «Il dio involontario» (appena aperta alla Galleria Nuages di Milano), Rosa parte da un groviglio di mistero, dal profondo mistero di cui siamo fatti e ci appartiene. Che poi è lo stesso mistero del disegnare e del dipingere, del fare apparire un'immagine e lasciarla poi libera di raccontare.
In queste opere, Rosa inizia con colpi di pennello, grumi di colore, poi lascia alle immagini la responsabilità di agire. Le immagini raccontano storie, coinvolgendo la materia pittorica, ma l'avventura che raccontano i suoi disegni, i suoi colori appoggiati sul foglio non sappiamo dove conducono. Sappiamo come si parte, sì, ma Rosa si abbandona al rischio di non dirci dove ci porta. Insomma, deve lavorare chi guarda. Lo spettatore partecipa allo sviluppo creativo. Le figure della serie del Dio involontario sono poco naturalistiche e contengono una loro formale incertezza, ciò che è lo stimolo ideale all'immaginazione. Un metodo, va sottolineato, oggi piuttosto inattuale, perché la produzione, al contrario, è molto programmata, sia concettualmente che materialmente. Si sa la conclusione ancora prima di cominciare a guardare.
In questo sistema, invece, si rischia in ogni opera. Rosa ci mette davanti a qualcosa di insondabile, di buio, di non illuminato a giorno, di notturno. Nel catalogo le immagini sono accompagnate da una storia scritta dal l'artista, molto bella, dove le parole sono fatte della stessa pasta di cui sono i disegni, ma le parole hanno una loro forza indipendente, come anche le immagini sanno raccontarsi da sole. La commistione di parola e immagine è un punto di forza ma bisogna sottrarsi alla tentazione di vedere un connubio inscindibile tra esse.