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Questo articolo è stato pubblicato il 20 febbraio 2011 alle ore 08:25.
Se ricordate Amabili resti, non importa se il romanzo di Alice Sebold oppure il film altrettanto efficace di Peter Jackson, saprete che lì il fantasma della quattordicenne Susy continuava a volteggiare sopra il quartiere, in attesa che la sua famiglia scoprisse che l'aveva uccisa il vicino. E solo dopo poteva liberarsi e andarsene. Un gelido inverno è come se fosse la storia opposta: c'è sempre un fantasma che accompagna il film, ma non sta lassù in cielo a guardare, è piuttosto piantato nella vita terrena e fino a quando non si sa che fine abbia fatto – se è vivo o morto – tutti i personaggi del film sono attraversati da un'inquietudine che non riguarda la sparizione, ma la presenza assente di quest'anima guasta; e se poi è morto, bisognerà capire quando (e come) si può esserne davvero sicuri.
Il fantasma terreno è il padre di Ree (Jennifer Lawrence), e già non c'è più all'inizio del film. Ree vive tra le montagne del Missouri con una madre impazzita (a causa del marito) e due fratellini. Un giorno arriva lo sceriffo e spiega qual è il problema: il padre, spacciatore di anfetamine, quando è uscito di galera, per pagare la cauzione ha ipotecato la casa. Il processo è vicino e l'uomo è sparito già da un po' (sembra che per Ree il fatto che sia sparito anche dalla loro vita, non sia più un problema). Se non si presenterà al processo, la famiglia perderà la casa. Questa è la storia di Un gelido inverno: trovare quest'uomo (il fantasma) in tempo, prima che la famiglia perda tutto. Il nucleo della vicenda ha la qualità di trascinarsi dietro, senza snocciolarla, la storia pregressa. Il padre di Ree è come se avesse spacciato non solo anfetamine e altro, ma un'inquietudine, una violenza, un peggioramento dell'esistenza e della vita interiore di tutti: suo fratello sembra il più minaccioso, i suoi (ex) soci i più violenti, la moglie perduta per sempre.
Qualcosa è successo a Hollywood, forse non in termini di quantità, ma di sicuro nella qualità della scrittura dei personaggi femminili. Dopo aver visto la Kidman raggelata di Rabbit Hole, qui Jennifer Lawrence regala il suo viso radioso e lo sguardo feroce alla ragazza che ha saltato l'adolescenza e adesso è una piccola donna dura, nervosa, decisa. Tutti gli uomini che l'affrontano, compreso lo zio inquieto, sembrano volerle mettere le mani addosso, ma questa sensazione svanisce subito contro la personalità che Ree pianta di fronte a tutti. È come se operasse un sortilegio di eliminazione della bellezza, grazie alla capacità di spostare lo sguardo del nemico su un altro piano, più paritario e minaccioso: il suo obiettivo è trovare il padre, tra spacciatori, ex amanti, bande rivali. È Ree a tenere le fila della storia, della ricerca del padre, e anche di tutto il film di Debra Granik. Un personaggio denso e ben scritto in un film teso, che porta tutti nel campo aperto della provincia sperduta, lì dove l'asticella della violenza è più bassa, le regole meno rigide. Casomai sono le figure intorno a essere più piatte, semplificate, più tipiche del film di genere.