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Ecumenici per vincere secoli di divisioni

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Questo articolo è stato pubblicato il 20 febbraio 2011 alle ore 08:24.

Cento anni or sono il cristianesimo ha, se così si può dire, inventato l'ecumenismo. È stato indotto a farlo dalla contraddizione nella quale viveva da secoli, dopo le due profonde fratture avvenute al suo interno: nel 1054 la cristianità latina e quella bizantina si erano separate (una frattura che dura da quasi 1.000 anni), e nel 1517, all'interno della cristianità latina, si sono divisi il protestantesimo e il cattolicesimo romano (una frattura che dura da quasi 500 anni). Queste divisioni, accompagnate da reciproche scomuniche e da secoli di dura polemica, contraddicono la natura stessa della Chiesa che, nel Credo di Nicea-Costantinopoli, condiviso da tutte le confessioni cristiane, si considera e proclama solennemente una. Dalla presa di coscienza della contraddizione di una Chiesa che si dice una, ma non lo è perché è divisa, e dalla volontà di superarla perché alla lunga essa mina la credibilità stessa del messaggio cristiano, è nato il movimento ecumenico, che prese le mosse dalla conferenza missionaria di Edimburgo del 1910.
Da allora molto cammino è stato percorso. Una tappa decisiva è stata la creazione, ad Amsterdam nel 1948, del Consiglio Ecumenico delle Chiese (World Council of Churches), con sede a Ginevra. Sorto in seno al protestantesimo, il movimento ecumenico ha progressivamente coinvolto il mondo ortodosso e, a partire dal Concilio Vaticano II, anche il cattolicesimo romano. Oggi si può dire che tutte le maggiori confessioni cristiane hanno fatto propria l'idea e la speranza ecumenica che è quella, appunto, di ricomporre l'unità della Chiesa, ristabilendo la comunione di fede e di culto tra tutti i cristiani. Ostili all'ecumenismo restano frange tradizionaliste come i lefebvriani in casa cattolica, gruppi fondamentalisti in casa evangelica e alcune comunità monastiche in casa ortodossa. Ma si tratta di minoranze. Le Chiese che hanno accolto l'istanza ecumenica, la considerano ormai una scelta irrevocabile.
Le due idee-guida che animano il movimento ecumenico e al tempo stesso ne costituiscono la meta sono la «diversità riconciliata» (finora la diversità cristiana, via via manifestatasi nella storia della Chiesa, è stata spesso scomunicata) e la «comunione conciliare» (le diverse chiese che si riconoscono reciprocamente come tali esprimono e suggellano la loro unità nel concilio ecumenico, come avveniva nei primi secoli della storia cristiana). Anche se questa meta è ancora lontana, il cammino per raggiungerla è stato imboccato.

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Intanto però, grazie alla pratica ecumenica, è accaduto un fatto estremamente importante: il cristianesimo ha imparato a dialogare, a fare cioè del dialogo non un esercizio occasionale o, peggio, un passatempo, ma un modo di essere e di porsi nei confronti degli altri. Attraverso l'ecumenismo, il cristianesimo è diventato una religione in dialogo. Non risulta che movimenti della stessa portata esistano oggi nella altre grandi religioni. Entrare in dialogo presuppone molte cose, ma la principale è l'abbandono dell'autosufficienza, nella consapevolezza che la verità è sempre più grande di noi ed è meglio cercarla insieme che da soli. Attraverso migliaia di dialoghi teologici, bilaterali e multilaterali, avvenuti negli ultimi decenni e sfociati in accordi di varia natura (convergenze, consensi, consensi differenziati), il movimento ecumenico ha sviluppato una metodologia del dialogo che, nata in casa cristiana, è perfettamente utilizzabile nel dialogo tra le religioni: i contenuti sono ovviamente diversi, ma il metodo e le regole cono le stesse. Così l'esistenza del movimento ecumenico cristiano si rivela doppiamente provvidenziale: lo è sul fronte interno perché promuove la pace tra le chiese e la loro comunione, e lo è sul fronte esterno come palestra per il dialogo interreligioso e interculturale, così necessario nel nostro tempo.
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