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Cultura-Domenica Arte

Artemidoro, quella foto è vera

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Questo articolo è stato pubblicato il 24 febbraio 2011 alle ore 18:56.

Secondo un articolo apparso su «Quaderni di storia» (la rivista di Luciano Canfora), l'immagine che mostra il papiro di Artemidoro prima del suo smontaggio (il cosiddetto Konvolut) mostrerebbe incongruenze e disomogeneità di dettagli rispetto al papiro disteso, e dunque sarebbe manipolata. Ma è una tesi infondata.

L'immagine riproduce una foto depositata sin dagli anni Novanta presso il Centro di papirologia dell'Università di Milano. È da questa che sono state tratte le riproduzioni pubblicate nel l'edizione del Papiro (Led, 2008) e nel libro di Settis (Einaudi, 2008). Nulla sappiamo sul l'identità del fotografo, forse lo stesso restauratore di Stoccarda che ha eseguito lo smontaggio. Ma l'esame della foto assicura che non era un fotografo professionista. Ricordiamo che ci sono differenze sostanziali tra: 1) il negativo originario; 2) la stampa positiva oggi a Milano; 3) la riproduzione pubblicata nei libri citati. Nel caso del negativo e della stampa parliamo in senso proprio di fotografie; l'immagine pubblicata è invece una riproduzione tipografica, che in nessun caso può essere definita una fotografia.

Nell'opinione comune si tende a confondere l'"immagine", in quanto contenuto di informazione recato da un sistema di segni, con la sua "tecnica di riproduzione". Nel caso della fotografia si ritiene spesso – del tutto erroneamente – che tale contenuto di informazione non venga in nulla alterato o compromesso dalla tecnica di riproduzione. Ossia si ritiene che l'"immagine" sia indipendente dalla "tecnica di riproduzione", che ogni forma di riproduzione (fotografica, tipografica, digitale) rechi "esattamente" la stessa informazione; e, in ultimo, che tale informazione resti comunque veritiera, attendibile.

Gli autori dell'articolo non hanno mai richiesto l'accesso né studiato direttamente la stampa conservata a Milano. Hanno fatto le loro osservazioni su un "file digitale", tratto, attraverso una comune scansione, non già dalla stampa fotografica ma da una delle pubblicazioni sul papiro. Questa leggerezza li ha condotti a fondare la loro argomentazione su premesse false. Vediamo in concreto. Analizzando le incongruenze tra le ombre proprie e le ombre portate nell'immagine del Konvolut, gli autori giungono alla conclusione che l'immagine pubblicata sia stata scontornata, cioè che dall'insieme sia stato cancellato lo sfondo. Questa osservazione, in sé impeccabile, non può far concludere che a scontornare l'immagine sia stato chi ha fotografato il Konvolut. Infatti, nella stampa positiva oggi a Milano il fondale appare perfettamente integro. A scontornare l'immagine non ha provveduto il fotografo ma, secondo una prassi largamente in uso, il tecnico che ha preparato la scansione digitale per la stampa tipografica. Dal Konvolut al file digitale che gli autori hanno preso in esame vi sono almeno cinque passaggi: negativo, stampa del positivo, acquisizione digitale, stampa tipografica, acquisizione di un nuovo file dal libro stampato. Ciascuno di tali passaggi è da attribuire a un operatore diverso. Se gli autori avessero preso in esame la fotografia e non una sua riproduzione, non sarebbero incorsi in un errore tanto marchiano.

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Tags Correlati: Arte | B. Kramer | C. Gallazzi | Einaudi | I. Contesto | Laterza (casa editrice) | Luciano Canfora | Milano | Rizzoli | S. Settis | San Paolo

 

Ciascuno dei passaggi intercorsi dal Konvolut al file inevitabilmente comporta un decadimento della qualità dell'informazione, nonché delle deformazioni ("aberrazioni goemetriche"). E con questo veniamo al secondo argomento che dimostrerebbe la presunta manipolazione dell'immagine: l'incongruenza morfodimensionale di alcuni dettagli tra l'immagine del Konvolut e quella del papiro disteso. Metodo e confronto davvero opinabili.

Da una parte il Konvolut: un ammasso informe, grosso modo una piccola palla da rugby, di forma irregolarmente ovoidale. La sua superficie non è liscia e uniforme, ma risulta da una compressione casuale: molti papiri sono stati schiacciati insieme fino a formare un'imbottitura o supporto. Dall'altra parte, il papiro disteso dopo il restauro: rappresentabile, sempre con approssimazione, come una superficie bidimensionale. Consideriamo ora il materiale. Il papiro è un supporto igroscopico. In presenza di acqua o di umidità elevata, le sue fibre subiscono dilatazioni, che però non avvengono omogeneamente in tutte le direzioni, ma principalmente nel senso delle fibre. La geometria del Konvolut non è quella di un solido semplice o di un modello geometrico. Esso è un ammasso di pieghe, ottenuto comprimendo diversi papiri insieme; come pestando insieme i fogli di un quotidiano. È ovvio che tali fogli di papiro, un tempo distesi, abbiano subito durante la trasformazione in Konvolut significative deformazioni. Le deformazioni subite dai papiri non sono stabili nel tempo. Un corpo igroscopico, e per giunta sottoposto a sollecitazioni meccaniche, è per definizione soggetto a continue modificazioni. In ogni istante della sua vita, dal I al XX secolo, il Konvolut non ha mai smesso di subire deformazioni. Deformazioni ancora maggiori sono occorse quando l'ammasso è stato smontato, i pezzi di papiro sono stati distesi e tirati, raddrizzati e riposizionati. Il presunto confronto morfodimensionale è in realtà il confronto tra due istanti di vita di un corpo in costante evoluzione dinamica.

Infine, sorprende che gli autori, per verificare l'eventuale «incoerenza fotografica» sic si affidino alle leggi della prospettiva rettilineare, che offre solo una schematizzazione molto approssimativa allo studio della rappresentazione fotografica, trascurando invece del tutto la presenza inevitabile di "aberrazioni", che sono il primo dato sensibile da studiare quando ci si trova di fronte, con ambizioni di precisione dimensionale, a una rappresentazione fotografica.

Per concludere. Le strategie di indagine e gli strumenti utilizzati sono del tutto incongruenti rispetto agli obiettivi degli autori. La fotografia è poco affidabile, o lo è solo entro i suoi specifici limiti, che sono quelli della rappresentazione e non della prova microfotogrammetrica. Nei casi in cui vi siano particolari esigenze di precisione – ad esempio, nel rilievo architettonico o nella rappresentazione tridimensionale di piccole opere d'arte – è necessario cambiare radicalmente approccio, e adottare strumenti e metodologie di rilevamento adatte allo scopo. La disciplina che si occupa di restituire, con fedeltà macro o micrometrica, rappresentazioni di oggetti tridimensionali perfettamente in scala e privi di aberrazioni, si chiama fotogrammetria; essa si avvale di strumenti molto sofisticati, come le camere metriche e gli scanner 3D, e di altrettanto sofisticate tecniche di restituzione, che non possono comunque prescindere da preliminari misure di riscontro prese sull'oggetto reale. Fare tutto ciò non rientra tra i compiti della fotografia. Non è giusto chiedere alla fotografia quello che non può dare. A causa del pregiudizio per cui ogni apparecchio fotografico è uno strumento automatico e attendibile, spesso si ritiene che una fotografia debba produrre, anche dal punto di vista morfodimensionale, delle rappresentazioni precise. Ma così non è mai. Tutt'altro.

La disputa

1998-2005. Segnalato da C. Gallazzi e B. Kramer sull'«Archiv für Papyrusforschung» (1998), il papiro di Artemidoro (un rotolo ricomposto da molti frammenti, che contiene un testo greco, una carta geografica e disegni di animali e di figure umane) viene acquistato dalla Compagnia di San Paolo per 2.750.000 euro.

2006. Restaurato all'Università di Milano, il papiro viene esposto a Torino (Palazzo Bricherasio). La mostra «Le tre vite del Papiro di Artemidoro. Voci e sguardi dall'Egitto greco-romano» (Catalogo Electa) ha oltre 40mila visitatori.

2006-2008. In un articolo sulla rivista «Quaderni di storia» (n. 64, 2006), poi seguito da altri sei, e in un libro Laterza (Il papiro di Artemidoro, 2008), poi seguito da altri cinque (fino al recente Il viaggio di Artemidoro, Rizzoli), Luciano Canfora e un gruppo di collaboratori sostengono che il papiro è un falso del secolo XIX, e ne attribuiscono la confezione a Constantinos Simonidis.

2008. Viene pubblicata, a cura di C. Gallazzi, B. Kramer e S. Settis, la prima edizione del Papiro (Il Papiro di Artemidoro, Led, Milano), con analisi tecniche e paleografiche che lo datano al I secolo d.C. Il papiro viene esposto al Museo Egizio di Berlino e poi al Museo Egizio di Monaco di Baviera (oltre 400mila visitatori). Un libro di S. Settis (Artemidoro. Un papiro dal I secolo al XXI, Einaudi 2008) presenta il papiro ai non specialisti.

2008-2010. Si moltiplicano gli studi degli specialisti in tutto il mondo. Senza contare né quelli degli editori del Papiro (e collaboratori) né di Canfora (e collaboratori), si contano a oggi 48 studi, dei quali uno accoglie la tesi della falsificazione, gli altri 47 propongono varie interpretazioni, ma tengono ferma la genuinità del papiro e la sua datazione al I secolo d.C.
Il volume Intorno al Papiro di Artemidoro. I. Contesto culturale, lingua, stile e tradizione, che esce in questi giorni (edizioni Led), contiene gli atti di un convegno internazionale sul papiro. Fra gli altri, l'articolo dello storico della fotografia Paolo Morello di cui si dà qui un riassunto.

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