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Cultura-Domenica Arte

I disegnatori di Artemidoro

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Questo articolo è stato pubblicato il 24 febbraio 2011 alle ore 18:56.

Dimentichiamo spesso quanto frammentaria sia la nostra conoscenza delle civiltà classiche dopo il naufragio della cultura antica. Eschilo fu autore di 90 tragedie, delle quali solo 7 sono conservate; Sofocle ne scrisse ancor di più (da 120 a 130), ma non ne restano che 7; delle 92 di Euripide ne abbiamo solo 18. Menandro scrisse almeno 108 commedie, tutte perdute, ma fortunate scoperte papiracee ne hanno restituite 5. Quanto alla storia dell'arte, stiamo ancor peggio. Conosciamo il "canone" dei grandi maestri distillato dal gusto e dall'erudizione antica, fino a Plinio il Vecchio, e dunque la fama di scultori come Policleto, Mirone, Lisippo; o di pittori come Polignoto, Parrasio, Apelle, Protogene. Eppure, nulla di quei maestri si è conservato in originale, semmai in copia. Insomma, se abbiamo forse il 10% dei testi letterari, dell'intero patrimonio figurativo dell'antichità non ci resta nemmeno l'1 o il 2 per cento. Per giunta, il "filtro" che ha operato una selezione tanto severa è in massima parte frutto del caso.

Più drammatico ancora è il naufragio del disegno antico, che pure ebbe una funzione centrale nell'apprendistato e nella pratica artistica. Per esempio, Aristotele ricorda che ogni anno veniva offerto alla dea Atena un ricco peplo intessuto, i cui temi venivano selezionati da un'apposita commissione sulla base di vari disegni preliminari (paradeigmata). Ma del disegno antico non resta quasi nulla, tanto che i pochi studiosi che se ne sono occupati lo han fatto attraverso i disegni sui vasi, che a volte (è il caso di un cratere di Eufronio al Louvre) mostrano disegni preliminare con modifiche in corso d'opera ("pentimenti"). Ma l'esercizio del disegno fu fra le componenti essenziali della pratica di bottega, dall'apprendistato ai paradeigmata da sottoporsi alla committenza.

Da Plinio sappiamo che disegni di un grande pittore del V-IV secolo a.C., Parrasio, furono conservati per generazioni. Parrasio, dice Plinio, introdusse per primo in pittura la simmetria e i dettagli espressivi del volto, l'eleganza delle capigliature, la bellezza delle bocche. Gli artisti stessi concordano a dargli la palma nel disegno, massimo artifizio dell'arte pittorica. Rendere col colore i corpi e la superficie delle cose è arte di gran momento, certo, ma molti vi si cimentarono con successo. Rari sono invece gli artisti che siano riusciti, come lui, a disegnare il contorno dei corpi, interrompendo le linee per rendere al tratto gli scorci. E infatti la linea disegnativa del contorno deve girare su se stessa, ma proprio dove s'interrompe deve saper fare indovinare, per così dire "dietro di sé", qualcos'altro; insomma, deve saper mostrare anche ciò che nasconde.

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Questo è l'alto elogio che gli vien tributato da Antigono e da Senocrate, autori di trattati Sulla pittura. Di lui restano molti disegni (graphidis vestigia ), su tavole e su pergamene, di cui ancora fanno uso gli artisti con loro gran vantaggio. Come ha mostrato Bianchi Bandinelli, l'"invenzione" di Parrasio celebrata dagli Antichi fu la "linea funzionale", che gareggia col colore nella resa della terza dimensione, rendendola con sottigliezza e abilità del tratto, prestandosi allo scorcio. Gli antichi contrappongono al disegno di Parrasio il colore di Zeusi e di Apollodoro, che disputavano fra loro su chi avesse introdotto il chiaroscuro, e cioè le più sofisticate tecniche per rendere i volumi dei corpi e la terza dimensione. Ma non mancavano i fautori del disegno a monocromo, tracciato in nero o in ocra su fondo bianco con linee sottili e con una tecnica sofisticata di ombreggiature, allo scopo di rendere con un solo colore (contro il bianco dello sfondo) effetti comparabili a quelli che l'uso della policromia rendeva possibili. Plinio ricorda un bue dipinto da Pausias (IV secolo a.C.): «Volendo mostrare un bue in tutta la sua lunghezza, lo dipinse di fronte, e non di lato, eppure le sue dimensioni risultavano perfettamente chiare. Inoltre, mentre di solito i pittori dipingono di un colore biancheggiante e brillante le forme che intendono far risaltare, di nero quelle in un piano arretrato,

Pausia dipinse tutto il bue usando solo il colore nero, e dette consistenza all'ombra mediante l'ombra stessa. Con arte somma, dunque, alle forme disposte in piano seppe dar pieno risalto volumetrico anche quando le avesse dipinte di scorcio». Il disegno in bianco e nero era detto leukographia ("disegno sul bianco"), un termine in uso nella Poetica di Aristotele, ma anche in Plinio. La resa volumetrica e spaziale delle forme nel disegno, combinando la linea funzionale all'uso sofisticato delle ombreggiature, è teorizzata da Filostrato nella Vita di Apollonio (c. 200 d.C.): «Ma la pittura (zographia) non è basata solo sui colori; anzi, meritano di esser chiamati pittura anche i disegni al tratto (grammai) del tutto privi di colore, ma composti di ombre e luci. Anche in essi osserviamo la somiglianza al vero, l'aspetto e la mente, il pudore e l'audacia.

Essi non individuano con il colore il sangue o i riccioli della chioma o della barba, e tuttavia riescono a far distinguere un uomo biondo da un uomo canuto, e se rappresentano un Indo, egli ci sembrerà di color scuro: a questa impressione concorreranno il naso camuso, i riccioli crespi, la mascella sporgente e una sorta di passionalità nello sguardo». Il disegno al tratto ha la sua ragion d'essere artistica nell'abilità di ottenere senza colore gli stessi effetti che i maestri del colore avevano raggiunto con il chiaroscuro: il modellato plastico delle figure, la rappresentazione della profondità, ma anche dell'ethos e del pathos (il pudore e l'audacia, l'intensità passionale dello sguardo). Per ottenere questi effetti era necessaria la "linea funzionale" di Parrasio, ma anche il chiaroscuro al tratteggio, un gioco di luci e d'ombre che sapesse fare a meno del colore. A paragone di quello che intravediamo dalle fonti, i disegni su papiro che ci sono stati conservati dagli accidenti del caso, compresi quelli del Papiro di Artemidoro, sono ben povera cosa.

Eppure queste poche tracce, per sparse e insoddisfacenti che siano, consentono di riconoscere, sia pure non al più alto livello, proprio quelle che furono le esperienze e le problematiche del disegno antico. L'analisi al dettaglio dei disegni che in fase di riuso furono tracciati sul Papiro di Artemidoro (condotta da G. Adornato) mostra accorgimenti tecnici, gestualità artigianali, artifizi nell'uso delle ombreggiature che corrispondono molto bene al quadro che gli studiosi avevano ricostruito per il disegno antico, e che si riscontra anche negli altri papiri figurati noti (alcune centinaia). Ombreggiature al tratteggio obliquo, a zig-zag o incrociato; ombreggiature lungo i contorni o per macchia; linea funzionale e uso dello scorcio: tutti questi elementi ricorrono nei disegni di animali del Verso (probabile repertorio di bottega) e nei disegni di figura del Recto, presumibilmente disegni d'apprendistato.
Insieme col corpus dei disegni su papiro di Ossirinco e con quelli di Berlino e di Vienna (in preparazione), nonché con la raccolta dei disegni per le botteghe dei tessitori a cui è dedicato il libro recente di A. Stauffer, il Papiro di Artemidoro contribuirà ad aprire una nuova provincia degli studi, quella sul disegno nell'antichità. Da essa dobbiamo attenderci molte sorprese.

Un papiro di Ossirinco appena pubblicato è un esempio pertinente, in quanto contraddice l'opinione che gli Antichi non praticassero il disegno di architettura. Fra le due colonne e il fregio soprastante non c'è alcun collegamento strutturale: si tratta dunque, come ha scritto Helen Whitehouse, di un disegno di esercizio, «a student drawing», probabilmente del II secolo d.C.: altra pratica di bottega, come quella del disegno da calchi, che finora non sospettavamo.

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