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Nelle sale con James Franco, Liam Neeson e i «Ladri di cadaveri» di John Landis

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Questo articolo è stato pubblicato il 24 febbraio 2011 alle ore 16:02.

Tempo di Oscar, finalmente. Mentre gli occhi dei cinefili (e non solo) di tutto il mondo sono puntati sul Kodak Theater di Los Angeles, dove domenica notte verranno consegnate le ambite statuette dell'Academy Award, nelle sale italiane arrivano questo weekend alcuni titoli molto attesi, anche se mediamente di qualità inferiore rispetto alle ottime uscite della scorsa settimana (da «Il cigno nero» di Darren Aronofsky a «Un gelido inverno» di Debra Granik).

Dato che siamo in clima di Oscar partiamo commentando «127 ore» di Danny Boyle, regista che ha già scritto il suo nome nell'albo d'oro del premio.
Dopo le 8 statuette (per chi scrive decisamente immeritate) ottenute due anni fa per «The Millionaire» (fra le quali quella per il miglior film e per la migliore regia), Boyle si cimenta questa volta con la storia vera di Aron Ralston, lo scalatore statunitense che nel maggio del 2003 rimase intrappolato all'interno di un canyon nel deserto dello Utah e fu costretto ad amputarsi da solo un braccio per potersi salvare.
Dopo quell'esperienza Ralston scrisse un libro intitolato «Between a Rock and a Hard Place», nel quale raccontò quei cinque giorni (da qui il titolo «127 ore») in cui rimase bloccato da un masso finito sul suo braccio. Danny Boyle prende di peso quest'autobiografia, ma non si limita a tradurla in immagini: fin dalle primissime sequenze infatti fa sentire la sua presenza registica, quasi sempre invasiva, e il suo desiderio di essere il vero protagonista del film. Il suo stile pubblicitario, tipicamente da videoclip, si riconosce fin dai titoli di testa, sottolineati dalla presenza dello split screen: tecnica che verrà ripresa in diverse altre occasioni col passare dei minuti. Alle immagini velocizzate delle prime battute fanno da contraltare alcuni ralenti, che rendono sempre più caricata una regia (che a tratti sfiora il kitsch per il suo essere di cattivo gusto) davvero poco sopportabile.
James Franco (che veste i panni di Aron Rolston), seppur sia ormai un ottimo attore sempre in crescita, ancora non è in grado di reggere da solo il peso di un film, soprattutto se si tratta di un'opera retorica e ricattatoria (si vedano i flashback delle sequenze finali) come questa.

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Vista la stima che l'Academy nutre per Danny Boyle anche questo titolo ha ottenuto ben sei nomination agli Oscar: l'unica meritata è proprio quella per il miglior attore protagonista a James Franco che, molto curiosamente, sarà anche il presentatore (in coppia con Anne Hathaway) della cerimonia di quest'anno. Non concorrerà invece agli Oscar, ma ha ottenuto il record d'incassi del box office americano nello scorso weekend (a quello italiano dovrà vedersela anche con «Manuale d'amore 3»), il thriller «Unknown» di Jaume Collet-Serra con protagonista Liam Neeson.
L'attore nordirlandese interpreta Martin Harris, un botanico americano che arriva a Berlino, accompagnato dalla moglie Liv, per partecipare a un importante convegno di biotecnologia. Costretto a tornare in aeroporto per recuperare la sua valigetta, avrà un incidente (sul taxi che lo stava accompagnando) che lo farà entrare in uno stato d'incoscienza per alcuni giorni. Dimesso dall'ospedale in cui è stato ricoverato (senza avere alcun documento che provasse la sua identità), ancora in stato confusionale, scoprirà che la sua vita gli è stata rubata: la moglie Liv non lo riconosce più e un altro uomo si spaccia di essere Martin Harris. Nessuno sembra credergli e persino lui stesso inizia ad avere dei dubbi sulla sua reale identità.
Recentemente presentato al Festival di Berlino, «Unknown» (tratto da un romanzo di Didier van Cauwelaert) segue la classica struttura del suo genere di appartenenza: il bravo regista spagnolo Jaume Collet-Serra abbandona con grande disinvoltura gli stilemi dell'horror («Orphan» del 2009 è la sua pellicola precedente) per realizzare un thriller che fa del ritmo e dei colpi di scena (in questo caso possono dirsi davvero tali) i suoi punti di forza.
Nonostante alcuni vuoti di sceneggiatura e diverse svolte narrative poco credibili, «Unknown» riesce comunque a tenere gli spettatori incollati alle poltrone per le quasi due ore di durata: fatto che gli permette di collocarsi fra i thriller più riusciti arrivati nelle nostre sale negli ultimi anni.

A rendere questo titolo ancor più gradevole vi è un ottimo cast nel quale, oltre al protagonista Liam Neeson (in uno dei suoi ruoli più importanti dopo la tragica morte della moglie Natasha Richardson avvenuta nel marzo 2009), svettano alcuni interpreti di secondo piano come Sebastien Koch e il sempreverde Bruno Ganz. Altrettanto piacevole, e ancor più divertente, è «Ladri di cadaveri» di John Landis, probabilmente il titolo più interessante della settimana. Ambientato nell'Edimburgo d'inizio ‘800, questo film è ispirato (seppur con l'aggiunta di molta fantasia, come sottolinea il cartello introduttivo) alla vita di William Burke e William Hare: due truffatori che, per sbarcare il lunario, si misero a procurare al Dr. Knox, un celebre medico-anatomista noto per le sue lezioni di dissezione del corpo umano, dei cadaveri freschi. Burke e Hare inizialmente vendono dei loro conoscenti morti per cause naturali, ma appena si rendono conto di quanti soldi frutti quella "professione" s'improvvisano loro stessi degli assassini seriali.

A più di dieci anni di distanza dai suoi ultimi lavori per il cinema (fra i quali il bistrattato seguito de «I Blues Brothers») John Landis torna a dirigere una pellicola che appare perfetta per le sue corde fin dal soggetto di partenza: una commedia nera, composta da trovate macabre unite a momenti esilaranti, in grado di fargli ritrovare quel tocco registico che pareva aver perso da tempo. I suoi fan, che attendevano con ansia questo suo ritorno sul grande schermo dopo tanti lavori televisivi, difficilmente rimarranno delusi da «Ladri di cadaveri», seppur non sia al livello (ma non ci manca poi tanto) delle sue opere migliori.
Nonostante sia un film di spessore relativo, rappresenta una visione semplice e spensierata dove i momenti riusciti sono molteplici grazie anche all'ottima performance di Andy Serkis (molto meglio del suo partner Simon Pegg), finalmente degno protagonista in carne e ossa, dopo la celebre interpretazione virtuale (realizzata con la performance capture) nei panni di Gollum per la trilogia de «Il signore degli anelli». Da segnalare ci sono però anche due importanti (e inquietanti) cameo: quello del quasi novantenne Christopher Lee (nei panni di un vecchio in fin di vita) e quello dello scheletro del vero William Burke mostrato nei titoli di coda.

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