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Cultura-Domenica Libri

Il nostro italiano respira scienza

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Questo articolo è stato pubblicato il 27 febbraio 2011 alle ore 08:21.

Un avvenimento così incisivo, come l'unificazione d'Italia, non produceva solo una nuova carta geografica, era stato preparato da processi che avevano messo lunghe radici nel territorio italiano e nella comunità dei suoi abitanti. I processi che avevano creato, a partire dal secolo XIII e con straordinaria intensità nel secolo successivo, i fondamenti di una nuova civiltà, di commerci, di tecnologia marinara, di arti, di lettere, di pensiero giuridico, filosofico e scientifico (nella matematica, nella medicina, nella veterinaria): la civiltà italiana, fiorita in quei primi secoli nelle molte città portuali distribuite dal Nord all'estremo Sud e nei comuni dell'interno e in travolgente sviluppo nei secoli XV e XVI. Filo continuo di questa civiltà fu la lingua: una nuova lingua, decisamente fiorentina d'impianto e fortemente appoggiata alla sua madre latina, ma in costante sforzo di emancipazione dalla nutrice e concorrente e in graduale acclimatazione nel resto d'Italia. (...) Certo, per almeno tre secoli dopo la sua codificazione, data la condizione generale della nostra società, la lingua italiana fu irrigidita, anche nell'uso di alti ingegni, nelle strettoie bembiane e venne acquisita solo da un ridottissimo ceto sociale. Irrigidita, ma non proprio tanto, non "morta" come la dichiararono con iperbole gli osservatori dell'età romantica (e amano talora ripetere alla lettera saggisti frettolosi di oggi), se sotto il soffio dell'illuminismo e poi della nuova cultura scientifica europea quella lingua divenne lo strumento, più che di tentativi, allora difficili, di una nuova poesia e letteratura, del pensiero vigoroso dapprima di un Pietro Verri, di un Beccaria, di un Genovesi, di un Filangieri, di un Algarotti, di un Cesarotti, e via via della riflessione corposa e veridica della foltissima schiera di fisici, matematici, geologi, chimici, astronomi, biologi, anatomici, patologi, antropologi, sociologi, pedagogisti, filosofi, economisti, giuristi di nuovo conio, storici, linguisti, che costellarono il panorama culturale italiano da Torino a Venezia a Palermo nell'intera età del nostro Risorgimento: dai suoi albori al suo compiersi, dall'Italia percorsa dagli eserciti napoleonici all'Italia ormai unita nella visione del rosminiano e geologo Stoppani, dello storico Tabarrini, del glottologo Ascoli. Tutti – insieme con scrittori, poeti, critici, artisti e musicisti più noti al grande pubblico – furono a fianco, talvolta anche sui campi di battaglia, dei realizzatori diretti dell'unificazione e dell'indipendenza italiana. Molti di loro, tra un rovescio e una vittoria, già esuli per anni in Europa per sfuggire agli ergastoli e taluno al patibolo.

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Anche su quelle pagine di scienza poggia il nostro Risorgimento, almeno quanto sulle pagine dei romanzieri, sulle strofe dei poeti e sulle note degli inni. Si potrebbe pensare che l'apporto degli scienziati italiani fu modesto nella somma imponente di scoperte, invenzioni ed elaborazioni teoretiche che si producevano allora Oltralpe. Se anche così fosse non perciò possiamo disinteressarci di quanto si produsse proprio in quel secolo in Italia: non c'importa affermare primati per vanto nazionalistico, bensì constatare che la schiera di quanti scoprirono, inventarono e pensarono in Italia era inserita pienamente nel circuito della cultura moderna e che per essi la lingua italiana, anche se «parlata con la penna» (Ascoli), fu strumento adeguato di pensiero e di azione: per la speculazione e la ricerca dei fatti, per l'insegnamento ai seguaci, per il colloquio con la risvegliata Nazione e con l'Europa. Possiamo o dobbiamo credere che forse più per merito loro la lingua italiana, di formazione trecentesca e cinquecentesca, approdata con affanno alle soglie del secolo risolutivo, poté riprendere la corsa per affrontare le prove successive nel crogiolo di una società diversa.
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