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Cultura-Domenica Libri

Quegli autori tra il racconto e il far di conto

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Questo articolo è stato pubblicato il 27 febbraio 2011 alle ore 08:20.

«Le forme della natura – scrive Djerzinski – sono forme umane. È nel nostro cervello che si formano i triangoli, gli orditi e le ramature. Noi li riconosciamo, li apprezziamo, ci viviamo in mezzo. In mezzo alle nostre creazioni, creazioni umane, comunicabili all'uomo. In mezzo allo spazio, allo spazio umano, noi creiamo misure, tramite tali misure noi creiamo lo spazio, lo spazio tra i nostri strumenti». Djerzinski è un biologo molecolare ossessionato dalla clonazione degli esseri umani e per il quale, tuttavia, l'ontologia potrebbe essere una malattia infantile dell'animo. La scienza di cui scrive Michel Houellebecq ne Le particelle elementari (Bompiani, 1998) è una miscellanea – pure linguistica – di attesa, essere, misura e meraviglia. Ed è una scienza che, pur non caratterizzata dai deliri alchemici del Dottor Faust o dall'epica di malia e debolezza del Dottor Frankenstein, condivide con gli studi loro, e dei loro epigoni, la ricerca dell'assoluto.
Michael Beard (Ian Mc Ewan, Solar, Einaudi, 2010) è un pingue seduttore impresentabile eppure, giovanissimo, è stato un genio della fisica insignito di un Nobel. Marcus Potter (Antonia S. Byatt, Quartetto, Einaudi 1999-2005) può tacere per giorni, rimanere immoto con la testa in grembo alla sorella Stephanie, ma scompone la realtà attraverso complesse geometrie, cataloga, riavvolge. Marcello Milanesi (Bruno Arpaia, L'energia del vuoto, Guanda, 2011) che indossa bluejeans e, camminando avanti e indietro su una pedana, cerca tra i volti degli astanti quello dolce di Nuria, può esplorare e ipotizzare la fisica oltre il Modello Standard. Renée Seitchek (Jonathan Franzen, Forte movimento, Einaudi, 2004), a dispetto del nome lezioso, è una donna piccola di trent'anni, concentrata come piombo, è la donna più piccola del mondo il cui unico desiderio è di non essere mangiata. Ma lavora all'istituto di sismologia di Harvard e sa spiegare perché la terra trema. Il dottor Breed (Kurt Vonnegut, Ghiaccio-nove, Feltrinelli, 1963) ripete sempre che per il dottor Hoeniker la cosa più importante è la verità. «Ho l'impressione che lei non sia d'accordo. Non so se sono d'accordo o no, è solo che mi riesce difficile capire in che modo la verità, da sola, possa essere sufficiente per una persona». Dipende forse dalla verità e da quanto questa verità sia percepita come assoluto, ossessione, soluzione a un problema. Tuttavia si scrive per misurare la distanza tra sé e il mondo, tra sé e gli altri, tra sé e l'immagine di sé. E la scienza è una misura, ripetibile, del mondo.

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Tags Correlati: Accademia della Crusca | Adelphi Edizioni | Bompiani | Chiara Valerio | Di Renzo Editore | Feltrinelli | Harvard | Jonathan Franzen | Letteratura | Marcello Milanesi | Marcus Potter | Michael Beard | Michael Crichton | Mondadori | Pittsburgh | Robert Havemann

 

In epoca di soggettività e riproducibilità tecnica, l'immagine della scienza, dunque della misura del mondo, passa attraverso la descrizione e la caratterizzazione degli scienziati. Nei romanzi citati, gli studiosi si percepiscono isolati più di quanto lo siano, esitano, s'innamorano, somigliano. C'è una prossimità tra i tentennamenti dell'uomo comune e quelli dello scienziato, che è struggente. La letteratura, con una spinta d'Umanesimo e una tensione rinascimentale, riportando lo scienziato alla misura nell'uomo, da pazzo ad appena bizzarro, riposiziona la scienza al centro del reale. Senza dicotomie, o contraddizioni. In Dialettica senza Dogma. Marxismo e scienze naturali (Einaudi, 1965) Robert Havemann osserva che «quando ci si lamenta della non intuitività di teorie moderne, per lo più si pensa alla loro astrattezza e poi si trasferisce quest'ultimo all'oggetto della teoria». Non capiamo la scienza perché non capiamo il linguaggio matematico. Ma Matematica è sinonimo d'incapacità e genio. Di noia ed estro. Di tempo perso e futuro. Di inutilità e necessità. Di gobbe ed eleganza, gira per l'aere tranquillo arde e cade. E la letteratura, che si accanisce su soggetti ossimori, per raccontare la scienza, deve raccontare, se non la matematica, almeno il suo linguaggio. Tensori. Numeri primi gemelli. Sigma. Gruppi abeliani. Vettori di stato. Funzioni d'onda. Sono parole che generano in chi legge interessi e inquietudine immediati. E pretendono attenzione. C'è, infatti, chi ha scritto di essere una donna insoddisfatta che tradisce il marito e ha come confidente un farmacista di nome Homais, chi ha giurato di aver visto navi da combattimento in fiamme al largo dei bastioni di Orione e i raggi B balenare nel buio vicino alle porte di Tannhauser, chi ha pianto per essere sceso all'inferno ed essere quasi riuscito a riportare indietro la donna che amava. Poi c'è chi non ha mai negato di aver scritto un romanzo con la struttura di un frattale chiamato triangolo di Serpinski, il triangolo di Serpinski è un insieme matematicamente generato da un pattern che si ripete allo stesso modo su scale differenti, ha una dimensione di Haussdorf di log 3/log 2 e la sua area, secondo Lebesgue, ha misura nulla. La scienza si trascina dietro il concetto di una verità che, oltre a essere assoluto e soluzione, ha pure il significato di esattezza. Basta a sé stessa. Così che, nonostante la discesa agli inferi e le porte di Tannhauser, la domanda reale suona come «È vero che Infinite Jest di David Foster Wallace è costruito come un triangolo di Serpinski?». Perché alla scienza non si concede tutta la finzione narrativa. La scienza, la matematica in particolare, è per gli specialisti e la letteratura è universale, nonostante la confutazione colta, convincente e divertita di Carlo Toffalori in L'aritmetica di Cupido (Guanda, 2011). Tuttavia la matematica è forse la prima esperienza narrativa. Tutti cominciamo a contare con le dita e quando arriva l'undici e le dita non bastano più, facciamo un primo, impressionante, salto di astrazione. Semplicemente immaginiamo. E raccontare come si costruiscono i naturali a partire dalle dita, è, in prima approssimazione, costruire i naturali.
La letteratura racconta questo e pure la necessità del formalismo, avvince, non crea nella mente del lettore, studente o solo curioso, un'inibizione dovuta al pensiero purtroppo assai diffuso di Non capisco. La letteratura rassicura riguardo la comprensione della scienza, dunque della misura del mondo. I romanzi non insegnano la matematica, la fisica o la biologia, come d'altronde non insegnano la vita. Ma creano esempi e spingono lontano il male, la paura dell'inadeguatezza a capire e contribuire. In fondo quando Michael Crichton apre Congo (Mondadori, 1981) con «Solo un pregiudizio e una errata lettura della proiezione di Mercatore può illuderci sull'enorme vastità del continente africano», scrive che chi non conosce la matematica non può veramente meravigliarsi del mondo. E invece il mondo non è solo meraviglioso, è pure vasto e largo, come ha scritto Abbott Abbott nell'esergo del suo Flatlandia (Adelphi, 1966).
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gli autori di questi articoli
Chiara Valerio (1978) è scrittrice e redattrice di «Nuovi Argomenti» e «Nazione Indiana». Il suo ultimo libro è Spiaggia libera tutti (Laterza). Per nottetempo ha scritto il romanzo La gioia piccola d'esser quasi salvi (2009).
È dottore di ricerca in Matematica applicata e informatica. Ha insegnato matematica nelle scuole secondarie e all'università.
Carlo Rovelli (1956) è fisico. Ha insegnato a Pittsburgh, Roma, L'Aquila, Syracuse. Attualmente è professore all'Université de la Méditerranée di Marsiglia e Affiliated Professor al Dipartimento Storia e Filosofia della Scienza dell'Università di Pittsburgh. Ha scritto, fra l'altro, Che cos'è il tempo? Che cos'è lo spazio? (Di Renzo Editore).
Francesco Sabatini, già presidente dell'Accademia della Crusca (dal 2000 al 2009) è tra i massimi storici della lingua italiana. Il suo articolo è tratto dalla rivista «La Crusca per voi», dove è leggibile per intero (www.accademiadellacrusca.it)

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