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Questo articolo è stato pubblicato il 01 marzo 2011 alle ore 08:53.
È sul tema della parola che la sfida degli Oscar di quest'anno si è concentrata: la balbuzie di Giorgio VI contro la voglia di comunicare di Mark Zuckerberg. Il discorso del re contro The social network. La difficoltà di comunicare con il mondo intero contro l'invenzione di una nuova comunicazione planetaria, viva e immediata. La parola orale che doveva farsi discorso per la Storia contro la parola scritta in modo rapido, tanto da dare l'impressione dell'oralità. E non è un caso, infatti, che i due film abbiano vinto le due statuette in palio per la sceneggiatura, originale e non. La parola quindi è la sorprendente e forse volatile novità del cinema premiato dagli Academy Awards, nel tempo del 3D, dell'affermazione definitiva a Hollywood del cinema di genere, soprattutto quello di azione. Non c'è alcuna volontà di valutare in modo positivo o negativo questa novità, è soltanto una constatazione. E non si può certo definirla una fase di restaurazione – tutto sommato, è semplicemente una coincidenza.
Ma tra i due film indicati alla vigilia come gli sfidanti per il titolo, è Il discorso del re il grande trionfatore della serata degli Oscar, non tanto per la quantità (quattro), ma per la qualità dei premi, i più importanti: film, regia, attore protagonista e sceneggiatura. Forse si è avvantaggiato di una spinta emotiva ancora viva in queste settimane (rispetto a The social network) e anche della riuscita di un racconto esemplare che tocca uno dei filoni più importanti e vitali di questi ultimi anni: la voglia di entrare dentro la Storia, osservandone gli aspetti quotidiani e privati, e come questi possano avere un rapporto diretto con la personalità che il pubblico ha conosciuto e con gli eventi che riguardano l'intera umanità. È una questione più che mai attuale negli anni in cui i leader politici di tutto il mondo sono radiografati in tutti i passaggi della loro biografia non soltanto professionale.
Quindi, la scelta dell'Academy è stata tutt'altro che sorprendente rispetto ai pronostici della vigilia, e in qualche modo ha risposto a tutte le supposizioni in modo ordinato: il premio a Natalie Portman era ampiamente previsto, anche perché sempre più spesso sembra che il ruolo da Oscar assomigli a una sorta di saggio in cui un attore o un'attrice danno prova di saper fare un sacco di cose difficili (la Portman fa la ballerina classica in Black Swan); i premi tecnici a Inception, l'Oscar dell'animazione a Toy story 3 (che avrebbe potuto meritare il premio assoluto). Però, se si va più indietro nel tempo, si scopre che era molto difficile immaginare che una produzione piccola e una sceneggiatura che ha avuto molte traversie prima di essere realizzata, potessero poi trasformarsi nella favola del film dell'anno: questo è senza dubbio l'aspetto migliore della vicenda; insieme al matrimonio perfetto tra il ruolo di Giorgio VI e l'interprete Colin Firth.