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Questo articolo è stato pubblicato il 06 marzo 2011 alle ore 08:23.

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Nel 1873, Camillo Golgi diede colore al cervello umano per la prima volta. Un colore scuro, nerastro, che gli permise di vedere, nel loro intero, gli atomi del nostro cervello: i neuroni. È grazie ai neuroni che possiamo vedere il mondo che ci circonda, correre, ricordare, sognare e pensare al futuro. Ma come si studia il cervello? Come si fa a capire come miliardi di neuroni possano trasformare vibrazioni dell'aria nella nostra canzone preferita, o come onde elettromagnetiche diventino la luce e i colori di un film? Cosa succede la sera quando ci addormentiamo, come fa il nostro cervello a produrre i sogni? E come fa a farci sentire felici, innamorati o tristi?
Quando Golgi era studente, esistevano due modi di studiare il cervello. Il primo era quello di studiare cervelli post-mortem. Questa tecnica permetteva di osservare il cervello molto attentamente, di studiarne l'aspetto, l'anatomia e, sezionandolo, permetteva di scoprine la composizione interiore. Allo stesso tempo, però, non consentiva di studiarne il funzionamento. Il secondo metodo è quello di osservare come traumi cerebrali causati da incidenti modifichino il comportamento delle persone. Nel 1848 un giovane operaio di nome Phyneas Gage, fu coinvolto in un terribile incidente in un cantiere ferroviario. A causa di un'esplosione improvvisa un tubo colpì il giovane in viso, penetrando la scatola cranica da sotto uno zigomo, e uscendone poco sopra la fronte. Phyneas sopravvisse all'incidente, ma dopo pochi giorni diventò evidente che «non era più se stesso». Da persona pacata, intelligente, e rispettata, divenne improvvisamente impulsivo, inaffidabile, e dedito al gioco d'azzardo. È proprio da queste osservazioni che si capì che la parte anteriore e inferiore del cervello fosse importante nel determinare la nostra personalità. Queste osservazioni, però, anche se ci danno alcuni indizi su come funzioni il cervello, non sono veri esperimenti, e permettono solo di trarre conclusioni molto generali su quale zona del cervello sia importante per quale funzione.
Oggi, grazie alle moderne tecnologie di neuro-immagine possiamo studiare il cervello umano in grande dettaglio senza doverlo rimuovere dalla scatola cranica. In più, potendolo osservare mentre è ancora "in uso" possiamo fotografarlo mentre pensa, ricorda, legge e sogna, studiandone quindi il funzionamento in-vivo. Esistono molte tecniche per studiare il cervello, ma ce ne sono due in particolare che sono fra le più diffuse: l'elettroencefalogramma, anche noto come Eeg, e la risonanza magnetica funzionale, o Rmf, in breve.
La tecnica dell'Eeg utilizza un piccolo casco all'interno del quale 64 o 128 elettrodi misurano la presenza di piccoli campi magnetici che si creano quando le cellule neurali si attivano. Quando un neurone comunica con altre cellule, lo fa creando piccoli impulsi elettrici, come piccole scosse, che a loro volta innescano dei segnali chimici che si propagano da una cellula all'altra. L'elettroencefalogramma può quindi rilevare la frequenza alla quale questi campi magnetici si creano. Così, se registrassimo l'elettroencefalogramma di una persona mentre sta guardando delle immagini, vedremmo che la parte posteriore del cervello mostrerebbe un aumento della frequenza di questi campi magnetici. Infatti, la parte posteriore del cervello, il cosiddetto lobo occipitale, è uno dei centri più importanti per la vista. L'Eeg ci permette quindi di vedere il nostro cervello mentre lavora.
Uno dei campi in cui l'Eeg è molto usato, è lo studio di uno degli aspetti più misteriosi della nostra mente: i sogni. Se il lettore avesse un caschetto Eeg in testa in questo momento, mentre legge questa frase, potremmo osservare che i campi magnetici creati dalle cellule neurali nei centri del linguaggio, in genere nell'emisfero sinistro del cervello, oscillano molto velocemente, da 12 a più di 100 volte al secondo (cosiddetta frequenza gamma), segno che il cervello sta compiendo una funzione specifica. Allo stesso tempo, le zone del cervello che non sono deputate alla lettura, non mostrerebbero lo stesso tipo di oscillazioni. Così, se potessimo vedere il tracciato Eeg del lettore in questo momento, assomiglierebbe a una linea con segmenti piccoli e molto irregolari. Se il lettore poi chiudesse gli occhi, ed entrasse in uno stato di veglia rilassata, i neuroni comincerebbero a oscillare in sincronia, a una frequenza leggermente inferiore, cioè la frequenza alfa (da 8 a circa 12 volte al secondo). Quando poi subentra la fase di sonno vero e proprio, i ritmi neurali rallentano nuovamente, e si sincronizzano ancora di più, creando le cosiddette onde theta e delta, tipiche delle fasi di sonno e sonno profondo. È a questo punto che, quando entriamo nella fase di sonno R.E.M., la fase in cui spesso facciamo sogni molto vividi, il nostro cervello d'improvviso sembra svegliarsi – anche se, in realtà stiamo dormendo. Eppure, durante il sonno R.E.M., il tracciato Eeg è più simile al tracciato di una persona sveglia che una persona in sonno profondo; per questo il sonno R.E.M. è spesso chiamato sonno paradossale. La tecnica della risonanza magnetica funzionale si basa su un principio molto diverso: per poter funzionare, le cellule neurali hanno bisogno di energia. Infatti, mentre il cervello di un adulto rappresenta solo il 5% del peso del corpo, consuma più del 20% del fabbisogno energetico giornaliero. Così, ad esempio, mentre state leggendo questa frase, i neuroni nei centri del linguaggio nel vostro cervello hanno bisogno di più energia per poter funzionare, cioè hanno bisogno di ricevere quantità maggiori di ossigeno e glucosio attraverso il sistema vascolare. La macchina di risonanza magnetica riesce a creare un campo magnetico oltre 30 mila volte più forte del campo gravitazionale della terra, e, sfruttando le proprietà magnetiche delle cellule di emoglobina nel sangue, ci consente di capire quali parti del cervello, in un determinato momento, stiano ricevendo più ossigeno, cioè quali parti del cervello siano più "attive". La Rmf, più di qualsiasi altra tecnica oggi viene usata per capire quali parti del cervello siano usate per vedere, ricordare, e pensare. Ed è proprio la risonanza magnetica che, più di ogni altra tecnica oggi, dà colore ai nostri pensieri, come fece Golgi più di un secolo fa. Infatti, nella ricerca scientifica, è normale mostrare il risultato delle analisi di Rmf come colori sovrapposti su un'immagine del cervello. Ad esempio, se potessimo guardare, con la Rmf, nel vostro cervello mentre leggete queste righe, vedremmo che i centri visivi nella parte posteriore del vostro cervello hanno bisogno – relativamente – di più ossigeno.

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