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Questo articolo è stato pubblicato il 06 marzo 2011 alle ore 08:24.

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Non ci sono kattivi con la k nel cinema italiano che oggi getta lo sguardo sulle malefatte sociali, politiche ed economiche del Bel Paese. Manca la materia prima: la statura tragica dei soggetti. Manca il nero shakespeariano che tinteggia Hollywood, la Casa Bianca e Wall Street, la diabolica consapevolezza degli squali alla Gordon Gekko che innesca – e spesso spinge fuori misura – l'ira cine-vendicativa di Oliver Stone e Michael Moore. Il più potente riassunto del cinismo tricolore – Il divo di Paolo Sorrentino – è uno struggente capolavoro grottesco. I nostri film di denuncia non alzano più la voce e gli spartiacque morali alla maniera di Francesco Rosi: il cattivo italico contemporaneo è disumano in senso patetico: la tragedia è sempre di uomini in fondo ridicoli.
Andrea Molaioli indaga nella melmosa via lattea di un'azienda di provincia, che tantissimo ottenne e tantissimo precipitò, con lo stesso tono psico/noir che ha fatto la fortuna del precedente La ragazza del lago. Siamo calati nel buco nero di debiti, orgoglio e superficialità in cui sprofonda la Leda (Latte E Derivati Associati, ma tutti sappiamo che si parla di Tanzi) attraverso la vanagloria e le debolezze di timonieri inadeguati. Arriveranno le manette, ma è un particolare secondario, un fotogramma. Nessun eroe, nessun detective si erge sulla trama, e Molaioli si ferma alla soglia del processo, di ogni processo. La condanna scaturisce dai comportamenti che ha tratteggiato, in perenne chiaroscuro, con i co-sceneggiatori Gabriele Romagnoli e Ludovica Rampoldi. Un amaro misto di rassegnato livore e stizzita curiosità umana che ha il limpido merito di evitare ogni complice pietas cinematografica scrutando nel torbido. Così, il silenzio dei truffati risuona glaciale ne Il gioiellino, ma la loro è una voce che non ci può essere, perché mai era stata presente nelle orecchie e negli scrupoli dei burattinai.
Non è tutto Parmalat ciò che qui lo sembra. La storia è ambientata in Piemonte, rimanda a Parma, ha echi d'oltreoceano. Nel mirino c'è il crack dell'economia intesa come gioco di specchi, come vittoria della "finanza creativa" sui capitali solidi, come filosofia secondo la quale «Se i soldi non li hai, te li inventi». Nei panni del direttore finanziario Ernesto Botta (ispirato a Fausto Tonna), è ancora una volta la strepitosa smorfia scostante di Toni Servillo a incarnare l'arroganza dell'egoismo dedito a un'etica ostinata, aziendalista a dispetto di ogni rischio: «Se porti un problema, porta anche la soluzione» gli è stato insegnato. Poi, si può (non) discutere di che genere di soluzione si tratti.
In una battuta buona per ogni tempo e per ogni parte politica, un senatore (Renato Carpentieri) dice che per farsi strada occorrono un giornale, una squadra di calcio e una banca. Quando tutto crolla, qualcuno si suicida, qualcuna (Sarah Felberbaum) ha tentato invano di far valere i master all'estero sui diplomi da ragioniere e sull'inglese spiccicato basic, qualcuno sotterra le memorie dei computer, qualcuno chiede un appuntamento salvifico al presidente del Consiglio e finisce col vendergli il pezzo pregiato della propria squadra (è Gilardino). Qualcuno confessa la storiella – ecco la "finanza creativa", ecco il grottesco italiano – del preistorico bianchetto con cui vennero truccati i bilanci inventandosi liquidità fittizie in uno scrigno ai Caraibi.
Remo Girone è stato saggio nell'evitare ogni minimo fiato da boss. Agisce sottotono in ricchezza e in (presunta) povertà: il suo Amanzio Rastelli ricalca la gestualità del Cavalier Calisto, un agire che ha radici antiche, coltiva il rispetto adulante dei concittadini e non sa immaginare il futuro senza il proprio giocattolino dal fondo bucato: più che sul latte versato è probabile che pianga sulle onorificenze revocate.
In un simpatico film di Percy Adlon del 1989 – Rosalie Goes Shopping, stesso regista e stessa teutonica interprete di Bagdad Cafè – una casalinga dell'Arkansas cede di continuo alla tentazione consumista villeggiando in un lusso kitsch ottenuto surfando tra i massimali di troppe carte di credito. Perché «se hai un debito di 1.000 dollari il problema è tuo, se il debito è di 100mila dollari il problema è della tua banca». La stessa frase, aggiornata ai tempi, all'euro e al personaggio, ritorna in questo gioiellino di caratteri e atmosfere che racconta gli intimi autogol di cattivi indegni di una cappa tragica. «E se il debito è di 100 milioni, il problema è dello Stato» li sentiamo aggiungere. Dall'edonismo reaganiano alla più colossale bancarotta di una società privata italiana, il motto è rimasto identico. Mancava un nostro film che sapesse raccontarlo.
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solidali In primo piano Remo Girone nei panni di Amanzio Rastelli e Toni Servillo alias Ernesto Bottail gioiellinodi Andrea MolaioliItalia, Francia, drammatico, 110', 2011Cast: Toni Servillo, Remo Girone, Sarah Felberbaum, Lino Guanciale

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