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Questo articolo è stato pubblicato il 13 marzo 2011 alle ore 08:23.

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Sotto la veste di quello che oggi si chiama con apparente ossimoro caos deterministico, la categoria della complessità si è affacciata nella scienza alla fine dell'Ottocento, in maniera tanto inaspettata quanto imbarazzante. Studiando le orbite di tre corpi soggetti alle sole forze di attrazione gravitazionale descritte dalle equazioni di Newton – come è per esempio il caso del Sole, la Terra e la Luna – nel 1890 Henri Poincaré si rese conto, con sorpresa e sgomento, che le soluzioni formavano un groviglio inestricabile di curve: «Si rimarrà impressionati dalla complessità di questa figura, che nemmeno tento di disegnare», affermava allora Poincaré. L'esistenza di sistemi dinamici con traiettorie instabili, che rendono impossibile la previsione degli eventi futuri, era già stata intravista fin dal 1873 da Clerk Maxwell in un saggio su determinismo e libero arbitrio. «Una causa minima, che ci sfugge, determina un effetto considerevole, del quale non possiamo non accorgerci: diciamo allora che questo effetto è dovuto al caso», dirà Poincaré. In altre parole, «può succedere che piccole differenze nelle condizioni iniziali generino differenze grandissime nei fenomeni finali; un piccolo errore a proposito delle prime produrrebbe allora un errore enorme a proposito di questi ultimi. La previsione diventa impossibile: siamo di fronte al fenomeno fortuito», continuava Poincaré, descrivendo quello che diventerà noto come «l'effetto farfalla», la metafora del battito d'ali di una farfalla in Amazzonia che provoca un tornado nel Texas. Quel groviglio di curve che sgomentava Poincaré è riapparso cinquant'anni fa sullo schermo del computer di Edward Lorenz, un matematico del Mit impegnato in ricerche di meteorologia. I lavori di Lorenz si intrecciarono con le ricerche di Steve Smale sulle traiettorie caotiche generate da una trasformazione dei punti di un piano, la sua "mappa a ferro di cavallo", e con quelle di Benoit Mandelbroit sulla geometria degli oggetti "frattali" per dar vita, nel corso degli anni Settanta, a una nuova area di studi interdisciplinare, le "scienze della complessità".
Da quelle vicende prendono le mosse Cristoforo Sergio Bertuglia e Franco Vaio per il loro grande affresco, «un'emozionante avventura del pensiero» l'ha definita David Lane nella prefazione, che coniuga profonda conoscenza di una materia tanto vasta e "complessa" (è il caso di dirlo) con una grande capacità di narrazione, che rende accessibile a un vasto pubblico un nuovo ed esauriente quadro delle moderne ricerche su complessità e modelli nelle scienze della natura e della società. Se le origini risiedono nella teoria dei sistemi dinamici e del caos insito nelle equazioni (deterministiche) che li descrivono, gli sviluppi delle scienze della complessità hanno finito per abbracciare un territorio di ricerca molto ampio, dalle reti neurali e la simulazione dei processi mentali, agli automi cellulari ai sistemi multiagente, e hanno offerto un nuovo quadro interpretativo per le scienze della natura (paradigmatico è il caso della dinamica dei fluidi) e i sistemi economici e sociali. «La complessità emerge presentandosi come un possibile paradigma post-newtoniano», affermano Bertuglia e Vaio. E tuttavia l'affermarsi della «scienza della complessità» sfugge al modello di rivoluzione scientifica teorizzato da Kuhn. «Appare essere cosa del tutto diversa dai momenti che hanno scandito la storia della scienza». In altri termini, «più che una vera e propria rivoluzione scientifica, lo sviluppo delle scienze della complessità costituisce una riscoperta della varietà della realtà» che si pensava invece di poter ricondurre a poche semplici equazioni. Rappresenta l'emergere di un nuovo quadro interpretativo comune per fenomeni diversi. In una parola, «un nuovo modo di interpretare il mondo».
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Bollati Boringhieri, Torino pagg. 702|€ 40,00
complessità e modelli Cristoforo Sergio Bertuglia e Franco Vaio

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