Storia dell'articolo
Chiudi
Questo articolo è stato pubblicato il 17 marzo 2011 alle ore 10:53.

Arriva il 150° dell'Unità d'Italia e i distributori sfruttano la festività tanto discussa per cercare di cavalcare il week-end lungo. E così si esce il mercoledì con film "forti", ma non troppo, cercando l'exploit. E se dobbiamo puntare, scommettere su un titolo, ve lo diciamo subito, vi consigliamo Nessuno mi può giudicare. Brillantissimo esordio di Max Bruno, autore teatrale e cinematografico di grande livello (ed eccellente attore ma sottovalutato, forse persino da se stesso, se è vero che dal suo film ha tagliato la sua parte!) e star, nelle parti di Martellone della serie, e del film di prossima uscita, Boris, è un prodotto fresco e godibilissimo.
Bruno porta sul grande schermo la sua esperienza, la sua moralità, la sua indignazione lieve- nell'espressione (tragi)comica della stessa, non nella sua consistenza ideale- e la trasforma in una storia d'amore e amicizia dolce e divertente. Raoul Bova ha un internet point al Quarticciolo, periferia romana, Paola Cortellesi è un'altoborghese snob e antipatica che, causa una vedovanza precoce e un marito imprudente, finisce sul lastrico. Diventano vicini di casa e i due mondi prima collidono poi si uniscono. Bova recupera quel felicissimo registro che già aveva conquistato tutti ne La nostra vita di Daniele Luchetti, la Cortellesi, nonostante qualche difficoltà e qualche smorfietta di troppo nelle parti più drammatiche del film (strano, basta ricordare Il posto dell'anima per capire che le sue corde sono anche quelle), regge bene la parte di protagonista. Bruno ci mette dentro la capacità di scrittura- bravo anche il sodale Falcone, che nel film è il cliente sadomaso- l'attenzione a ogni singola battuta e scena che cozza con l'abitudine all'approssimazione della commedia italiana moderna, e, infine, una storia che conquista, anche nelle sue parti più consolatorie.
Il risultato è inevitabilmente adorabile, piace il tributo a Nanni Moretti - Rocco Papaleo, portiere razzista e omofobo che verrà smentito dalla vita, urla a un certo punto «Ve lo meritate Nanni Moretti!»- così come la sequenza-sfida tra lui e Bova che ricorda Spike Lee. L'argomento attualissimo, poi, fa il resto. La protagonista, infatti, è un'escort per necessità. La borghese decaduta- molto sexy Paola Cortellesi nella parte- rischia di perdere l'affidamento del figlio per un debito abnorme e deve trovare un lavoro.
Deve essere spudoratamente remunerativo. Decide di vendere il proprio corpo, anche grazie a un'amica, Eva (Anna Foglietta, attrice clamorosa: non è la prima bella interpretazione, sarebbe ora di smettere di ignorarla), che le fa da nave scuola. Si ride con pillole d'amaro in bocca, ci si intenerisce, si scoppia a ridere e si sta su quelle strade popolari e scalcagnate a fare il tifo con questo gruppo eterogeneo e rumoroso (che bravi Ocone e Lillo!) o su quel tetto a cenare chiassosamente insieme. Bravo Max Bruno a rispolverare con talento e umanità una commedia intelligente e buffa, su un'Italia tutta sbagliata. E si scopre che il nostro regista, indagando tra le escort per fare il film, aveva scoperto qualcosa di quello che noi oggi sappiamo. E la scena "politica", in auto blu, è una piccola grande chicca. Bene, bravo e (speriamo presto), bis.
Si è (quasi) annunciato un bis, un sequel, anche per Dylan Dog- il film, in anteprima mondiale qui in Italia. Kevin Munroe, fumettaro appassionato e regista tecnicamente discreto, ha portato in sala l'indagatore dell'incubo. Finalmente, verrebbe da dire, gli appassionati aspettavano questo momento da almeno due decenni. Ma la doccia fredda per gli appassionati sarà traumatica: Brandon Routh, già contestatissimo nei panni di Superman, ha ben poco di Dylan Dog. Inevitabile: questioni di diritti hanno impedito l'utilizzo di personaggi e cose, dal maggiolino a Groucho, l'esigenza di girare in America ha cambiato completamente l'ambientazione (New Orleans al posto della londinese Craven Road). Ne esce fuori un fantasy noir un po' cialtrone e brioso- con qualche lentezza di troppo- penalizzato proprio dall'illustre marchio che si porta dietro. Senza l'impari confronto, infatti, nessuno si scandalizzerebbe del risultato, così invece il personaggio di Sclavi è un'eredità troppo pesante da sopportare. Lo sa anche Munroe, che al fumetto s'è affezionato davvero, e alla Bonelli anche di più (lui doveva fare un film, o una serie tv, su Martin Mystére). Si e ci consola piazzando citazioni ovunque: "old man" viene spesso detto, in assenza dell'ispettore Bloch, dal "nuovo" aiutante Marcus, una cassaforte è nascosta da un quadro dei fratelli Marx, Sclavi e Sergio (Bonelli) diventano i nomi dei "dormienti". E così via, per almeno una dozzina di indizi fin troppo chiari, per farsi perdonare dai fans. E Munroe spera in un numero due, per poter raccontare Bloch, il rapporto problematico del fascinoso indagatore con la madre, magari tirar fuori il supercattivo Xabaras. Per ora in Italia si rimarrà delusi, nel mondo, in caso di successo, sarà un eroe molto diverso a conquistare i cuori di spettatrici (soprattutto) e spettatori.
Lontanissimo dall'originale anche Amici miei - Come tutto ebbe inizio. I timori pregiudiziali dei fan- curiosa l'identità di reazioni preventive nel caso di entrambi i film- purtroppo trovano un riscontro nell'opera. Neri Parenti dirige forse la sua pellicola esteticamente migliore- estremamente curata formalmente- ma di sicuro la meno divertente. Eppure la sceneggiatura, sia pur dilatata, ha in sé burle ben elaborate, idee buone. Anche la ricostruzione e lo sforzo produttivo sono più che apprezzabili. Ma la vis comica è pari a zero e i cinque protagonisti (Ghini, Placido, Hendel, Panariello e De Sica) non trovano nemmeno il minimo sindacale di amalgama. E non certo perché, come dice Travaglio, non sono toscani: se si informasse come fa con gli atti giudiziari l'illustre collega saprebbe che tra gli originali il livello di toscanità era bassissimo (uno era francese). Il dramma del prequel di Amici miei, quarto capitolo della saga nato da un trattamento degli sceneggiatori originali, è che non si recupera, in quella Firenze di Lorenzo il Magnifico e Savonarola, il disincanto cinico di quei compagni di giochi sempre in lotta con la loro parte oscura, di quelle beffe sociali, politiche, (dis)umane. La loro ribellione al conformismo, la loro voglia di libertà e di vita, la loro malinconia, il loro situazionismo, la loro capacità di creare un gruppo molto particolare, tanto disomogeneo quanto complementare. Quei cinque, pur bravi singolarmente, sembrano completamente fuori contesto, non sembrano credere mai al loro ruolo. E forse un film come Amici miei, un prequel oggi, sarebbe fuori tempo comunque. Deludente, un'occasione persa. O forse mai esistita veramente.
©RIPRODUZIONE RISERVATA