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Questo articolo è stato pubblicato il 20 marzo 2011 alle ore 08:23.

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«Io sono uno straniero per la polizia, per Dio, per me stesso». È forse questa la più lapidaria e folgorante carta d'identità di Emil Cioran, nato cent'anni fa, l'8 aprile 1911 a Rasinari, nella Transilvania rumena. Come è noto, questo inclassificabile scrittore-pensatore nel 1937, a 26 anni, migrò a Parigi, ove condusse il resto della sua vita fino alla morte avvenuta nel 1995. Straniero, quindi, per la sua patria d'origine, che aveva cancellato dalla sua anagrafe personale, abbandonandone anche la lingua. Straniero per la nazione che l'aveva ospitato, a causa del suo costante isolazionismo: «Sopprimevo dal mio vocabolario una parola dopo l'altra. Finito il massacro, una sola rimase come superstite: Solitudine. Mi risvegliai appagato».

Straniero, infine, per Dio, lui che era figlio di un prete ortodosso. Talmente straniero da iscriversi alla "razza degli atei", eppure con un'insonne ansia di inseguimento nei confronti del mistero divino: «Mi sono sempre aggirato attorno a Dio come un delatore: incapace di invocarlo, l'ho spiato». È per questa ragione che di lui vorrei brevemente parlare, senza pretese di travalicare il mio perimetro di teologo sconfinando nel l'analisi di critica letteraria che altri faranno in questo centenario. Cioran, infatti, si è appostato a più riprese per tendere agguati a Dio costringendolo a reagire e quindi a svelarsi.

Emblematico è il dialogo che a distanza intavolò col teologo Petre Tutea. Costui non aveva abbandonato la sua terra, nonostante 13 anni trascorsi nelle prigioni di Ceausescu, né tanto meno la sua fede, a tal punto da replicare a Cioran così: «Senza Dio l'uomo rimane un povero animale, razionale e parlante, che non viene da nessuna parte, e va non si sa dove». In realtà, il suo interlocutore non era strettamente ateo né agnostico, tant'è vero che era giunto al punto di suggerire ai teologi una sua particolare via "estetica" per dimostrare l'esistenza di Dio. Scriveva, infatti, in Lacrime e santi (tradotto da Adelphi nel 1990): «Quando voi ascoltate Bach vedete nascere Dio... Dopo un oratorio, una cantata o una "Passione", Dio deve esistere... Pensare che tanti teologi e filosofi hanno sprecato notti e giorni a cercare prove dell'esistenza di Dio, dimenticando la sola!».

Cioran accusa l'Occidente di un delitto estremo, quello del l'aver estenuata e disseccata la potenza generatrice del Vangelo: «Consumato fino all'osso, il cristianesimo ha smesso di essere una fonte di stupore e di scandalo, ha smesso di scatenare vizi e di fecondare intelligenze e amori». Questo Qohelet-Ecclesiaste moderno si trasforma, allora, in una sorta di "mistico del Nulla", lasciando intravedere il brivido delle "notti dell'anima" di certi grandi mistici come Giovanni della Croce o Angelo Silesio, risalendo fino allo sconcertante cantore del nesso Dio-Nulla, il celebre Meister Eckhart medievale. «Ero ancora un bambino, quando conobbi per la prima volta il sentimento del nulla, in seguito a un'illuminazione che non riuscirei a definire». Un'epifania di luce oscura, potremmo dire con un ossimoro usato dal Giobbe biblico.

«Si ha sempre qualcuno sopra di sé – continuava –; al di là di Dio stesso si eleva il Nulla». Ma ecco il paradosso: «Il campo visivo del cuore è: il mondo, più Dio, più il Nulla. Cioè tutto». E allora questa è la sua conclusione: «E se l'esistenza fosse per noi un esilio e il Nulla una patria?». Il Nulla – sempre per ossimoro – diventa il nome di un Dio, certamente ben diverso dal Dio cristiano, eppure come lui pronto a raccogliere il male di vivere dell'umanità. Scriveva Cioran, evocando la "psicostasia" dell'antico Egitto, ossia la pesatura delle anime dei defunti per la verifica della gravità delle loro colpe: «Nel giorno del giudizio verranno pesate solo le lacrime». Nel tempo della disperazione, infatti, certe bestemmie – dichiarava Cioran, sulla scia di Giobbe – sono «preghiere negative», la cui virulenza è accolta da Dio più della compassata lode teologica (l'idea era già stata formulata da Lutero).

Cioran è, quindi, un ateo-credente sui generis. Il suo pessimismo, anzi, il suo negazionismo riguarda piuttosto l'umanità: «Se Noè avesse avuto il dono di leggere il futuro, non c'è alcun dubbio che si sarebbe fatto colare a picco!». E qui il Nulla diventa il mero nulla, un vuoto annientamento: adorare la terra e dirsi che proprio essa è il termine e la speranza dei nostri affanni, e che sarebbe vano cercare qualcosa di meglio per riposarsi e dissolversi. L'uomo ti fa perdere ogni fede, è una sorta di dimostrazione della non esistenza di Dio ed è in questa luce che si spiega il pessimismo radicale di Cioran che brilla già nei titoli delle sue opere: L'inconveniente di essere nati, La tentazione di esistere, Sulle cime della disperazione, Squartamento, Sillogismi dell'amarezza e così via. E qualche volta è difficile dargli torto, guardando non solo la storia dell'umanità, ma anche il vuoto di tanti individui che non ha niente del tragico Nulla trascendente: «Di molte persone si può affermare quanto vale per certi dipinti, cioè che la parte più preziosa è la cornice». Ma per fortuna – ed è questa la grande contraddizione – esiste, come si diceva, anche Bach...
Il personaggioEmil Cioran (Rasinari, 8 aprile 1911 – Parigi, 20 giugno 1995) è un filosofo, scrittore e saggista romeno. Dalla Seconda guerra mondiale fu in Francia con lo statuto di apolide. Conobbe presto Ionesco, Beckett e Mircea Eliade con i quali formò un forte sodalizio. Fu un attento studioso di Kant, Schopenhauer e Nietzsche. In Italia Adelphi ha pubblicato Confessioni e anatemi, Un apolide metafisico, Quaderni, Al culmine della disperazione, Sommario di decomposizione, La caduta nel tempo, Sillogismi dell'amarezza, L'inconveniente di essere nati.

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