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Questo articolo è stato pubblicato il 20 marzo 2011 alle ore 08:22.

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Difficile non condividere l'ispirazione di fondo del saggio di Carla Benedetti Disumane lettere. Indagini sulla cultura della nostra epoca (Laterza). Chi non vorrebbe reagire al nichilismo paralizzante della cultura tardomoderna, al vezzo di considerarsi solo epigoni, per non dire dell'indifferenza verso l'imminente estinzione della specie? Chi non auspicherebbe un superamento del l'antropocentrismo verso un punto di vista che consideri la più ampia storia naturale? Il punto è che questo discorso va benissimo per la cultura nel suo insieme ma se prendiamo gli individui uno per uno non possiamo pretendere da uno scrittore che sia radicale, antagonista o pensoso dei destini del pianeta. Possiamo solo chiedergli di essere se stesso, di restare fedele a una vocazione. Se della fascia dell'ozono o dell'alleanza di specie non gli importa nulla, pazienza! Uno dei vizi della nostra narrativa è proprio quello di simulare radicalità spettacolari, di immaginarsi su fronti di guerra improbabili, di inventarsi un rischio quando non si rischia nulla (quante disperazioni low budget!). In questo senso la perorazione dell'autrice, pur argomentata in modo limpido e con ammirevole visione grandangolare (dalla letteratura alle arti visive), può scadere a retorica prescrittiva.
Le pagine migliori sono quelle in cui la sua moralità pungente, risentita (femminile, se è vero che il partito necrofilo del lamento è composto perlopiù da maschi!), affina lo sguardo rivolto al paesaggio culturale: la critica a Baudrillard e Foucault poiché descrivono un ordine "senza male" (con la pretesa che l'osservatore ne resti fuori), il parallelismo Pasolini-Anders che fa giustizia del luogo comune di Pasolini "reazionario", l'attacco al nickname, all'identità stilizzata in Rete come rifiuto di responsabilità, alcuni affondi sulla letteratura contemporanea (benché con una centralità quasi "teologica", per me sproporzionata, di Moresco). Musa ispiratrice di molte riflessioni è Simone Weil, uno dei maggiori pensatori del '900. Si tratta però di autore arduo da maneggiare, in cui la critica al "progresso" è critica alla scienza moderna, alla nozione di diritto, alla nostra idea di "grandezza". Un autore estremo, che ha letteralmente bruciato la propria esistenza attraverso la "passione" ustionante delle idee e l'amore doloroso per un Dio esiliato. Citando la Weil si dovrebbe fare i conti per intero con quanto del suo pensiero confligge irreparabilmente con le nostre categorie consuete. Il libro si conclude con una citazione da Leopardi sulla forza vivificante delle «opere di genio». Ora, dove si trovano oggi i lettori capaci di farsene rigenerare? Forse sono dispersi nella folla, temporaneamente afasici, refrattari, invisibili. Formulo velocemente una considerazione, che pure è in sintonia con certi spunti del libro meritevoli di ulteriori sviluppi: può essere che per una certa fase le energie morali e intellettuali che stanno a cuore alla Benedetti (e a noi) si trovino preferibilmente lontano dai consumi culturali e dalle università, dentro le professioni e dentro il "sapere" dei lavori, nell'esperienza di individui comuni volenterosi e non indifferenti alla verità, nei lettori non specializzati. È certamente lodevole battersi per «smuovere i piani» e «riaprire i giochi» (anche se non si può farlo, iterativamente, a oltranza), ma occorrerebbe guardare più alla società che alla cultura. Il pensiero critico e deviante tende a mimetizzarsi. Un nuovo pubblico per quelle «opere di genio» si sta formando, silenziosamente, da qualche parte nelle pieghe del corpo sociale. Uno dei compiti della cultura è riuscire a intercettarlo.
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disumane lettere. indagini sulla cultura della nostra epoca Carla Benedetti Laterza, Bari pagg. 220|€ 18,00

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