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Questo articolo è stato pubblicato il 23 marzo 2011 alle ore 12:14.

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Chick Corea (Fotogramma)Chick Corea (Fotogramma)

Dal lontano 1969, il primo festival italiano del jazz che si incontra ogni anno in ordine di tempo è quello di Bergamo. Chi ha avuto la fortuna di esserci, quella volta, ha tutto ben chiaro nella memoria. Il Primo Festival Internazionale del jazz di Bergamo ebbe luogo nel weekend dal 21 al 23 marzo e presentò nelle tre sere, al Teatro Donizetti, il gruppo e l'orchestra di Giorgio Gaslini, l'orchestra del trombettista Maynard Ferguson e l'orchestra del sassofonista Cannonball Adderley.

Il pubblico fu scarso a causa del programma un po' succinto per coprire tre sere, e soprattutto per l'inevitabile pedaggio pagato dall'inesperienza organizzativa. Sono trascorsi 42 anni, il festival si chiama oggi con maggiore sobrietà Bergamo Jazz e si tiene ancora quando inizia la primavera. Bergamo Jazz 2011 è appena terminato con grande successo e con il teatro Donizetti sempre esaurito. Ma alcuni spettatori attenti si sono accorti che il festival recava nell'intestazione il numero 33 e hanno chiesto che fine abbiano fatto le altre nove edizioni. E' tempo di rammentare che si trattò di una sospensione dovuta ai guai del postsessantotto: i giovani di allora, persuasi che il jazz avesse un significato politico (di sinistra: non gli venne neppure in mente che potesse essere di destra) accorsero in massa.

E nel 1975 il festival – che aveva già ospitato fra gli altri Dizzy Gillespie, Gerry Mulligan, Friedrich Gulda, Keith Jarrett, Max Roach, Art Blakey – dovette trasferirsi nel Palazzo dello Sport della città, ovviamente antiacustico, dove resistette qualche anno e poi fu sospeso finché cambiò il vento. Non fu il solo: perfino la paludata Umbria Jazz tacque tre anni consecutivi per le stesse ragioni, ma nella numerazione non ne tiene conto. Nella nuova serie Bergamo Jazz ha avuto cura di offrire la direzione artistica a musicisti illustri quali Uri Caine e Paolo Fresu. Dal 2012 il direttore sarà Enrico Rava. Passiamo ora alla buona musica che si è ascoltata al Donizetti, limitandoci alla citazione di tre fra i numerosi "eventi collaterali" ospitati da altre sale: il film-documentario "We Remember Chet Baker" di Hagen Kalberer, il film "Il Cortile della Musica" di Sergio Visinoni dedicato all'itinerario musicale di Gianluigi Trovesi e il concerto dell'Alboran Trio. Clamorosi applausi accolgono, in apertura del programma, il trombettista polacco Tomasz Stanko che manca da Bergamo dal 1977.

E' uno dei migliori trombettisti al mondo, che non a caso fa parte dal 1975 della preziosa scuderia della casa discografica Ecm. Solista dotato di tecnica, espressività e timbro perfetti, ha con sé quattro eccellenti collaboratori: Jakob Bro chitarra, Anders Christensen basso elettrico, Alexi Tuomarila pianoforte e Olavi Louhivuori batteria, gli ultimi due finlandesi. Con Tuomarila Stanko dà anche un magnifico saggio in duo, il giorno seguente, nella chiesa sconsacrata della Maddalena. Il pianista Stefano Bollani offre in prima assoluta un suo progetto temerario in quintetto che consiste nella rievocazione "della musica e dello spirito, vivi e necessari" di Frank Zappa. Come tutte le prime esecuzioni, va riascoltata con attenzione in quanto perfettibile. Il sottoscritto, peraltro, mantiene una netta preferenza per Bollani come sommo virtuoso a 360 gradi e ricorda che proprio al Donizetti, nel 1999, il pianista fu presentato per la prima volta al grande pubblico dopo aver vinto il Top della rivista Musica Jazz nella categoria dei nuovi talenti.

Pensando al Bollani di oggi, sembra la preistoria. Un altro illustre pianista italiano, Enrico Pieranunzi, riscuote nella seconda sera l'ammirazione incondizionata degli intenditori portando in concerto al pianoforte solo, come fa spesso da tre anni, il contenuto di un suo cd nel quale interpreta numerose Sonate di Domenico Scarlatti, poi ripetute secondo le sue improvvisazioni jazzy: Pieranunzi è in assoluto uno dei pochi musicisti che sappia e possa fare un lavoro simile. Segue una gradita e magnifica full immersion nella musica brasiliana con la voce e la chitarra di Gilberto Gil coadiuvato dal violoncello di Jaques Morelenbaum e dalla chitarra e le percussioni di Bem Gil, figlio di Gilberto. Si tenga presente che il jazz e i suoni del Brasile hanno le stesse radici: ma a Rio e dintorni il linguaggio attuale si è differenziato a contatto con la realtà "altra" del Sudamerica. Brillante l'idea, per la sera di chiusura, di riproporre due assi del jazz che si conoscono e si ritrovano ogni tanto da quasi quarant'anni, il pianista Chick Corea e il vibrafonista Gary Burton.

Secondo le previsioni mettono tutti d'accordo, giovani e meno giovani, con una profusione di brani vecchi e nuovi eseguiti con affiatamento perfetto e senso impeccabile dell'improvvisazione. Il finale del settetto Funk Unit del trombonista svedese Nils Landgren è riservato specialmente ai giovani: una sorta di ghiaccio bollente (funk, appunto) data la provenienza di Landgren. Ma ci vuole anche questo.

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