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Questo articolo è stato pubblicato il 24 marzo 2011 alle ore 06:40.

Quel Giano bifronte di Parmenide, primo nichilista della storia, tanto premuroso nel l'affermare un «essere» totalitario, quanto feroce nello sbarazzarsi delle delizie più mondane degli «enti», le gioie e i dolori di tutti i giorni. Ma anche le verità di Eschilo, potente stage director dell'antichità, tragico esempio di come «certi picchi del pensiero filosofico si manifestino attraverso uomini considerati più poeti che filosofi, come accaduto anche per Leopardi». Emanuele Severino è uno dei pensatori più importanti del nostro tempo.
È anche l'autore del primo volume, dedicato ai cosiddetti Presocratici, del «Caffè filosofico», nuova collana del Sole 24 Ore, in edicola da domani. La sua lezione sui presocratici è quella di chi non considera «colui che nulla ha scritto» come «un "post" rispetto alla grande alba del pensiero filosofico. Ecco perché è sbagliato chiamare Anassimene, Anassimandro, Eraclito o lo stesso Parmenide pre-socratici», spiega. Loro sono l'inizio della filosofia, quello che viene dopo ha una gloria diversa, ma non c'è «pre» o un «post». Parmenide somiglia a un killer «venerando e terribile – prosegue Severino citando Platone – che immobilizzando l'essere lo uccide». Eschilo è poi il primo a pensare il sapere come «rimedio contro la morte. E come in Anassimandro o in Eraclito, in lui emerge il senso delle cose come divenire oscillante tra il nulla primordiale e il nulla in cui le cose ricadono».
Il sapere tecnologico
Ma la speculazione di Severino muove anche verso l'ultramoderno, con una riflessione raffinata sulla tecnica come monito contro tutte le forme di sapere che «violentano» la realtà cercando di trasformarla. «La téchne è la capacità di oltrepassare ogni limite – sostiene Severino –, la costruzione dell'uomo nuovo che deve fare i conti con la reale assenza di ogni limite. Là dove il limite assoluto per eccellenza è Dio, il sapere tecnologico è quello che dice, con Nietzsche, che Dio è morto». Se esistesse una verità eterna, secondo l'autore di La filosofia futura, «non potrebbe esistere quel divenire del mondo che esige che non tutti gli spazi della realtà siano occupati dal l'eterno. Ricordo allora le parole di Zarathustra: se gli dei creatori esistessero, che cosa mi resterebbe da creare? Ma è evidente che io creo, quindi gli dei non possono esistere».
Che legame c'è tra téchne e violenza?
«Non è solo la tecnica a essere violenta – risponde Severino –, ma ogni forma dell'agire. Ogni violenza presuppone la possibilità che il mondo diventi diverso da quello che è. Ecco allora che tutte le grandi forme di cultura occidentale sono violente, perché si propongono di trasformare il mondo in una qualche direzione. Il punto è che la tecnica è una violenza vincente rispetto alle violenze perdenti della tradizione occidentale». La dominazione della tecnologia è destinata a crescere: «Andiamo verso un tempo in cui non sarà più il capitale a servirsi della tecnica, ma la tecnica a servirsi del capitale, e lo stesso varrà per la democrazia o l'economia».
Eppure la tecnica sembra uscire sconfitta da eventi come lo tsunami giapponese, capace di mandare in tilt uno dei simboli hi-tech più evocativi: le centrali nucleari. «In realtà è una gestione ideologica della tecnica, quindi votata al profitto, a produrre questi disastri. Prendiamo come esempio la volontà di non utilizzare l'acqua salata del mare per spegnere i reattori... qui non c'è nessuna débâcle della tecnica, ma la conseguenza di una precisa incapacità della razionalità capitalista di gestire la razionalità scientifico-tecnologica».
E internet?
«È oggi la forma dominante di riconoscimento pubblico, ancora più della televisione. Ciò che non è in Rete non è potente e così come hegelianamente il padrone non è tale se non è riconosciuto dal servo, allo stesso modo le varie forme di potenza non sono tali se non sono presenti sul web».
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